Antimafia in una piccola città
A Falcone, non lontano da Furnari, intanto…
«Micciché dice è stato un errore intitolare l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino, perché chi arriva in Sicilia si ricorda di essere in terra di mafia… No! Si ricorda piuttosto di essere in terra di antimafia!».
La manifestazione “Venti di legalità democratica”, organizzata dall’associazione Un’altra storia a Falcone, piccolo centro della Messina tirrenica, è stata l’occasione di parlare dell’antimafia che parte dalla società civile e non più chiusa dietro le mura dei tribunali, un’azione sociale con cui ogni cittadino può eliminare dalla propria vita la minaccia del potere mafioso..
«La mafia ha due facce – dice Santo Laganà dell’Associazione Rita Atria – Quella impresentabile dei vari boss che si sono resi famosi per una serie di omicidi, e quella presentabile di coloro che frequentano i salotti borghesi. E’ qui che occorre colpire: negli ambiti della politica, locale o nazionale, della finanza, nei settori che con le loro scelte condizionano la società. Se la mafia è questa, l’antimafia non può solo essere fatta di cortei, slogan o ricordi. È antimafia l’azione di denuncia verso i mafiosi, ma soprattutto verso i loro compari che non sono indicati come mafiosi dalla Giustizia».
Oggi la denuncia non è più una questione di coraggio, ma forse d’intelligenza e ne è la prova l’esperienza di Giuseppe Scandurra, un imprenditore che ha reagito e che ne ha trascinato con sé altri, tessendo un percorso di reazione per chi li seguirà. «La risposta dello Stato deve essere sicuramente migliorata, però è anche vero che c’è gente che di fronte all’uccisione di un genitore non collabora, ma di fronte alla confisca di un bene, al sequestro di un bene decide di farlo. Anche noi dobbiamo collaborare affinché si cambi».
Cambiare è possibile, basta evitare la zona grigia, quella in cui tutti sono complici ma nessuno appare esserlo, affiancando alla necessità di una politica trasparente quella di una collaborazione attiva della società, che deve avvenire attraverso un approccio culturale nuovo e la mobilitazione di idee, penetrando nelle coscienze della gente, indignandosi di fronte a chi fa affari con soggetti dalle posizioni discutibili, boicottando l’economia del malaffare. Azioni semplici ma efficaci se rese concrete da tutti e da ogni singolo cittadino.
«Non sono obbligato ad entrare in quel negozio se so che il titolare è in odor di mafia, c è tanta altra scelta, basta prendere le distanze, scegliere da che parte stare».
Non si può in ogni caso chiudere gli occhi di fronte al passato; questo nuovo vento di speranza che si respira innegabilmente, è sicuramente importante ma è la memoria, la capacità di ricordare che deve insegnare – soprattutto ai giovani – che il ricordo non può essere il confine ultimo di ciò che è stato. Ricordare sempre, parlarne, senza paura, come la madre di Attilio Manca: «Parlare di mafia non era possibile fino a qualche anno fa a Barcellona P.G. ma oggi, possiamo dire che le tre C, mi riferisco a Cassata, Canali e Cattafi, sono state estirpate e Barcellona ora è più libera».
Un grande insegnamento la nostra società ha da percepire, un antidoto a questa cappa irrespirabile: il ricordo delle stragi, delle vittime cadute per mano mafiosa, la memoria che diventa maestra di una società malata e soggiogata dalle logiche dell’omertà e della connivenza, ma soprattutto il dovere che essa ha di risvegliarsi, d’ indignarsi, e di compiere l’abbraccio ad una legalità che parte dal basso, dalla coscienza dei cittadini, in un terra che per troppo tempo ha sopportato il fardello di essere conosciuta come terra di mafia.