Parole false contro la giustizia
Nella crisi e sofferenza profonde che caratterizzano l’attuale stagione politica italiana una parte importante hanno le “parole”, la perdita del loro significato comune, il loro uso distorto o deviato.
Quando si tratta di legalità e di giustizia, le parole più frequenti – ormai – sono quelle malate o false.
Sono parole malate (elencarle comporta un esercizio di… masochismo) quelle usate per denigrare i magistrati definendoli faziosi, matti, cancro da estirpare, associati per delinquere, disturbati mentali, antropologicamente diversi dal resto della razza umana, figure orribili e inique, peggiori del fascismo, maledetti dal Vangelo…
Parole malate che sono sintomo di un grave malessere della politica, in quanto favoriscono – sfiduciando pregiudizialmente un’istituzione fondamentale dello stato – la desertificazione delle coscienze.
Parole, quindi, che se possono andar bene a qualcuno per un comizio o per vincere una partita politico-giudiziaria, sono comunque causa di gravi perdite per tutti, a destra come a sinistra, perchè contribuiscono a deteriorare il senso morale del nostro Paese. E così una società non regge.
Poi ci sono le parole false: accanimento, persecuzione giudiziaria, politicizzazione dei magistrati, teoremi, uso della giustizia per fini politici, complotti, partito dei giudici, golpe, giacobinismo, giustizialismo, toghe rosse… Fino alle recentissime accuse di processi fatti solo per mettere qualcuno alla gogna mass-mediatica senza preoccuparsi più di tanto degli esiti.
Parole false, perché basate sul nulla (se si facessero finalmente parlare gli atti e i documenti: tacerebbero le bufale propagandistiche), ma ripetute con tanta ossessiva frequenza, impiegando le stesse tecniche pubblicitarie dei detersivi, che alla fine uno finisce per crederci o per subirle con rassegnata passività, accettando di usarle nel linguaggio corrente.
Perché questo impiego massiccio, scientificamente organizzato, di parole false?
Innanzitutto per squalificare chiunque osi dissentire dal “pensiero unico”, marchiandolo d’infamia ed espellendolo dal campo di gioco. Poi per impedire qualunque confronto serio sui problemi della giustizia, riducendo tutto ad una spirale soffocante di luoghi comuni, slogan e falsità. Infine perchè parlare del falsamente presupposto colore delle toghe (rosso o azzurro) aiuta a non parlare dei problemi veri. Che sono poi questi: chi è accusato di corruzione, ha corrotto o no ? chi è accusato di aver avuto rapporti con la mafia, è stato o no colluso?
Ma le parole false servono soprattutto per delegittimare e scoraggiare i magistrati che abbiano la “sfortuna” di doversi occupare di certe materie.
Si sa bene che a forza di calunniare, qualcosa alla fine resta sempre. E diventa sempre più sfumata la linea di confine fra aggressione ed intimidazione. Mentre si consolida il teorema (che le parole false hanno introdotto) secondo cui giustizia giusta – quando si tratta di imputati che contano – è quella che assolve; mentre quella che osa indagare o addirittura ( a volte capita…) condannare è giustizia ingiusta, giustizia iniqua, da bollare con campagne mediatiche feroci.
A commento del Suo scritto, dottor Caselli, vorrei riportare quanto osservato da un nostro connazionale, emigrato da oltre quattro decenni in una Nazione di cultura Anglo-Sassone: “A guardare oggi l’Italia, mi appare come capovoltasi, dove il Bene sia diventato Male e viceversa: un incubo spaventosamente vero”.