venerdì, Novembre 22, 2024
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Mafia a Partinico. Cosa ci aspetta

È l´inizio dell´ultima guerra di mafia a Par­tinico, con due schie­ramenti che affilano le armi…

Recentemente abbiamo approfondito la storia dei mafiosi di Borgetto che oggi sono liberi di scorrazzare per le vie del Paese, dopo aver scontato la pena nelle patrie galere. Ed a Partinico cosa succede? Chiaramente noi non possiamo farci mancare nulla, ed ecco che ritroviamo in giro nomi ben conosciuti negli ambienti di Cosa nostra che, da pochi giorni sono in circolazione.

Parliamo di Michele Vitale, fratello di Leonardo e Vito Fardazza, e dell’anziano Nino Nania, fratello dell’ergastolano Fifiddu, ancora rinchiuso nelle patrie galere. Parliamo di due storici esponenti della malavita organizzata che, in passato, si facevano la guerra. Difatti, ricordiamo che la corrente Nania-Giambrone era antagonista ai mafiosi Vitale-Salto. Oggi sono fuori, cosa potrebbe accadere? Si dice che Michele Vitale sia nella via della conversione, e sia pronto a prendere le distanze dalla sua storia. In effetti, per l’esponente della famiglia Fardazza non sussiste alcuna accusa di omicidio.

Come direbbe Provenzano amava la sommersione, ed oggi è a caccia di lavoro, costretto alle condizioni vincolate della libertà vigilata. Tuttavia, rimane sempre un Fardazza, quindi un ipotetico punto di riferimento per i rampolli locali di Cosa nostra. Ama muoversi e riunirsi campagne campagne e vestire di marca, atteggiandosi come un dandy locale.

 

Ma ricordiamo un po’ di storia…

A giugno del 2005 fu Bernardo Provenzano a decidere che anche Partinico doveva seguire quella regola della “sommersione”, che negli ultimi anni di governo di Cosa nostra era stata l´arma vincente del boss corleonese. E nominò come reggente quel Maurizio Lo Iacono che solo quattro mesi dopo era già morto. Ucciso dagli uomini dello schieramento che si era improvvisamente ritrovato sotto le insegne di Antonino Nania, un vecchio boss con i contatti giusti oltreoceano, e di suo figlio Francesco, che proprio negli Stati Uniti trascorreva la sua latitanza, pur continuando a curare gli affari di famiglia. Persino Bernardo Provenzano, come si sarebbe appreso poi da un “pizzino” con una richiesta di informazioni avanzata a Lo Piccolo, rimase interdetto per quell’omicidio.

È l´inizio dell´ultima guerra di mafia a Partinico, con due schieramenti che affilano le armi e che non fanno più mistero dei loro sponsor ad alto livello: i rampanti, i giovani scalpitanti che riconoscono solo l´autorità di “‘u zu Ninu”, Antonino Nania, che insieme con Antonino Giambrone accetta di fare da sponda alle velleità di allargamento oltre i confini dei palermitani di Salvatore Lo Piccolo alla ricerca di nuovi appalti e di nuovi affari, come la cava American Rock di Montelepre, proprietà di Francesco D´Amico, da sempre vicino a Raccuglia e poi costretto a scendere a patti con gli appetiti di Lo Piccolo.

Dall´altra parte il potere costituito, rappresentato da due capimafia in quel momento detenuti, Nicolò Salto e Salvatore Corrao, longa manus del superlatitante Domenico Raccuglia, gli eredi naturali dei Vitale. Il 2006 è l´anno in cui Nania riesce a imporre la sua leadership: nomina capo di Partinico Gaetano Lunetta (poi arrestato) e Borgetto Antonino Giambrone. La cosca può contare sulla complicità di alcuni imprenditori come i fratelli Riina, e su uomini di peso come Giuseppe Lo Baido e Antonino Frisella. Nomine che scatenano l´ira dello schieramento avversario che, tra le altre cose, contesta ai Nania di non provvedere al sostentamento delle famiglie dei detenuti, così come invece prevedono le “leggi” di Cosa nostra. Nei colloqui in carcere con il nipote, il boss-meccanico Salvatore Corrao usa il linguaggio criptico del suo mestiere per annunciare che «dobbiamo risistemare quest’officina».

Dopo avere scontato la pena di 10 anni di reclusione torna nella sua casa Michele Vitale, uno dei tre fratelli per anni a capo della cosca mafiosa di Partinico. Michele, che dei tre è stato sempre considerato il più “tranquillo”, ha scontato la pena comminata dal tribunale di Palermo unificata con quella del 9 luglio 1999, per il delitto di cui all’art. 416 bis C.P. per avere, in concorso con numerose altre persone fatto parte dell’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere reati contro la vita, l’incolumità individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, tra i quali quelli di cui ai capi che seguono, nonché per acquisire il controllo di attività economiche e appalti pubblici e, comunque, per realizzare profitti o vantaggi ingiusti. Con l’aggravante del quarto comma trattandosi di associazione armata. Il calcolo di cui si è tenuto conto per la pena è il seguente: pena base anni 5 di reclusione, aumentata di anni due per le contestate aggravanti ed in esito all’unificazione si aumenta di altri 3 anni e si perviene alla pena sopra indicata di anni 10. A questa pena si deve aggiungere la misura di sicurezza della assegnazione ad una casa di lavoro per la durata di anni 2.

Tra l’altro è stato condannato per avere, dallo stato di detenzione in cui si trovava, messo a disposizione delle attività illecite della famiglia mafiosa i propri figli illegittimi. In tutto questo non possiamo fare a meno di ricordare che i componenti della sua famiglia, e parliamo dei fratelli e delle sorelle, sono tutti protagonisti della vita delittuosa di Partinico degli ultimi decenni.

A cominciare dal più grande, Leonardo, capo carismatico della famiglia mafiosa, che ha ormai collezionato qualche ergastolo per associazione mafiosa e per avere commesso diversi delitti.

Per proseguire con Vito, che teneva i rapporti con il capo dei capi e con i boss corleonesi: il più violento da quello che racconta Giusy Vitale, autrice -insieme a Camilla Costanzo- del libro Ero cosa loro (Milano, Mondadori, 2009). Dai più anziani -Riina e Provenzano- Vito si voleva staccare, insieme a Giovanni Brusca, a Mimmo Raccuglia e a Matteo Messina Denaro, per potere agire in piena autonomia senza dovere a tutti i costi chiedere loro l’autorizzazione.

Anche la mite Nina è stata condannata per associazione mafiosa. Recentemente la Corte d’Appello le ha aumentato la pena a 10 anni di reclusione in base a diverse intercettazioni che ne hanno aggravato la posizione. In ultimo Giusy Vitale, la prima donna boss di Partinico che aveva preso il posto dei fratelli nella gestione del mandamento e che, dopo essere venuta a conoscenza di diversi fatti e complicità, ne ha riferito poi ai magistrati della dda.

Oggi Michele troverà sicuramente una situazione molto cambiata rispetto a 10 anni fa; non troverà più niente del suo regno di Valguarnera, dove al posto delle stalle ci sono distese incolte intestate a uomini che hanno segnato la lotta alla mafia. E difficilmente troverà terreni dove pascolare gli animali come se fossero a casa loro.

E tante altre cose sono cambiate. Adesso ci sono le associazioni antiracket e persino qualche suo concittadino commerciante, come d’altronde lui sa bene, si è stancato di sottostare alle continue richieste di estorsione.

Ma quello che troverà sicuramente stravolta è la mentalità dei suoi concittadini e della maggior parte di politici (vecchi e nuovi) ormai consapevoli del fatto che la mafia a Partinico non fa più parte della storia attuale. La nostra emittente sarà sempre vigile ed attenta nell’analizzare i movimenti dei rampolli locali. L’attenta e competente attività delle forze dell’ordine ha permesso, negli ultimi anni, di bloccare con efficienza l’attività criminale della mafia.

Pertanto, oggi, Cosa nostra si ritrova in estrema difficoltà e con pochi punti di riferimento. Speriamo di non sbagliare nel dire che, attualmente, respiriamo la quiete prima della tempesta di una futura guerra di mafia, e che soltanto l’azione della autorità competenti e la coscienza dei cittadini onesti potranno debellarla del tutto.

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