Il Rapporto Transcrime
Pubblichiamo un estratto del rapporto presentato al Ministero dell’Interno da Transcrime, centro universitario di ricerca sulle mafie
Transcrime è il Centro interuniversitario di ricerca sulla criminalità transnazionale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’Università degli Studi di Trento, il cui direttore è Ernesto Ugo Savona, professore di criminologia dell’università di Largo Gemelli.
Lo studio, attraverso la realizzazione di una mappa della presenza mafiosa su tutto il territorio nazionale per Camorra, Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Criminalità pugliese, ha confermato in maniera scientifica il sempre maggior controllo criminale nelle aree di non tradizionale insediamento, demistificando allo stesso tempo l’immaginario collettivo della mafia come società per azioni.
Misurando l’indice di presenza mafiosa (IPM), ottenuto dalla combinazione dei dati riguardanti omicidi e tentati omicidi di stampo mafioso (2004-2011), persone denunciate per associazione mafiosa (2004-2011), comuni e pubbliche amministrazioni sciolte per infiltrazione mafiosa (2000-2012), beni confiscati alla criminalità organizzata (2000-2011) e gruppi attivi riportati nelle relazioni DIA e DNA (2000-2011), si è potuto constatare che solo in poche aree la presenza di criminalità organizzata assume valori pari a zero.
I valori più alti sono ottenuti dalle regioni e dalle province a tradizionale presenza mafiosa: rispettivamente prima la Campania, seguita da Calabria, Sicilia e Puglia, e prima Napoli, seguita dalle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Palermo. Ciononostante, a livello regionale “Lazio, Liguria, Piemonte, Basilicata e Lombardia fanno registrare una rilevante presenza di organizzazioni mafiose”. Non a caso, tra le province del centro e del nord che occupano le posizioni più alte si trovano Roma, Imperia, Genova, Torino, Latina, Milano e Novara (rispettivamente 13ª, 16ª, 17ª, 20ª, 25ª, 26ª e 29ª).
Un dato che testimonia visibilmente la pervasività delle organizzazioni mafiose è quello dei beni confiscati, la maggior parte dei quali è localizzata in sei regioni italiane: Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Puglia e Sicilia. I valori più alti sono rappresentati dalle regioni Sicilia (4654), Calabria (1558) e Campania (1502), che rappresentano l’82% del totale degli immobili confiscati. Se si aggiungono Lazio e Lombardia si raggiunge il 95%.
Solo la provincia di Milano è la quinta per numero di beni confiscati (910 pari al 5,3% del totale), seguita da altre importanti città lombarde (Varese, Como, Monza e Brianza, Bergamo e Pavia).
Colpisce inoltre che le confische siano ordinate da autorità giudiziarie aventi sede in altre province. E in questo caso la prima posizione è occupata da Milano (colpita 19 volte da confische ordinate da Autorità Giudiziarie con sede in altre province), mentre l’ottava posizione è occupata da Varese. Per quanto riguarda i beni confiscati alla ‘ndrangheta da Autorità giudiziarie calabresi, le prime province sono Milano, Roma, Arezzo e Como.
Le analisi condotte, inoltre, hanno cercato di quantificare in maniera rigorosa l’ammontare del denaro che i consorzi mafiosi ricavano dalle attività illegali, analizzando –attraverso i beni immobili confiscati– la destinazione finale dell’investimento. Ciò che emerge è la naturale vocazione delle associazioni di stampo mafioso per il controllo del territorio e per l’acquisizione del consenso sociale, requisiti prioritari rispetto al profitto economico. Infatti “le concentrazioni di immobili nelle aree più redditizie sembrano suggerire delle scelte legate più al prestigio delle abitazioni e al benessere dei singoli membri delle organizzazioni che a logiche di massimizzazione degli investimenti ”.
Dalla percentuale di immobili confiscati risulta che nel Nord Italia vi è una più alta concentrazione di beni ad uso personale rispetto a quella di immobili considerati come investimento; questo testimonia la suprema pretesa delle organizzazioni di insediarsi nel territorio.