venerdì, Novembre 22, 2024
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Un Paese di mezzo-bavaglio

L’allarme di Reporter senza frontiere: l’Italia cinquantasettesima nell’indice sulla libertà di stampa

Quella della libertà di pensiero (che si identifica anche nella libertà di stampa), nel corso della sua lunga storia è sempre stata una lotta travagliata all’interno della società. Ci sono voluti secoli e battaglie sanguinosissime, prima che nella coscienza dei popoli maturasse la convinzione che “la libertà di manifestare le proprie opinioni e quella di discuterne sono un bene e non un male”. Un principio fondamentale che nella Costituzione Italiana viene rabidato nell’articolo 21, “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Ma, nonostante questo principio sia stato messo nero su bianco, la lotta è tutt’altro che conclusa con gli organi di potere che, specie negli ultimi anni, hanno tentato di mettere il cappio in torno al collo della libertà di stampa. Ed è per denunciare ciò che ogni anno Reporters Sans Frontieres, l’organizzazione non governativa che si pone come obiettivo quello di garantire il diritto ad una informazione libera in tutto il mondo, stila una classifica su 179 Stati. Secondo il rapporto, pubblicato lo scorso 30 gennaio, l’Italia, pur avendo recuperato quattro posizioni rispetto allo scorso anno, si trova al 57°posto, dietro a Paesi come Niger, Burkina Faso, Taiwan, Botswana e Moldavia. Altri parametri per l’analisi sono la forma di governo, il pluralismo, l’indipendenza dei mezzi di comunicazione, la trasparenza e secondo il rapporto ne consegue che l’Italia, dopo la caduta del governo Berlusconi, in questo senso è leggermente migliorata. La verità però è che la situazione resta assolutamente critica a causa della “cattiva legislazione osservata nel 2011, dove la diffamazione deve ancora essere depenalizzata e le istituzioni ripropongono pericolosamente ‘leggi bavaglio’”. L’elenco è presto fatto tra “ddl intercettazioni” (noto come ddl Mastella, riproposto anche dal centrodestra a più riprese), “ddl diffamazione” (scoppiato dopo il caso Sallusti), “commi ammazza blog” o per il controllo dei contenuti pubblicati sulla Rete (proposta di legge D’Alia).

“Dopo la primavera araba del 2011 che aveva provocato impennate e cadute – è scritto nel rapporto – la classifica mondiale della libertà di stampa torna ad una configurazione più tradizionale”. Nel processo di valutazione di RSF ogni Paese riceve un punteggio da zero a 100, dove zero rappresenta la “situazione ideale”. E così nella classifica restano sul podio, per il terzo anno consecutivo, la Finlandia (paese ormai consacrato come il più rispettoso della libertà di stampa), seguita da Olanda e Norvegia. Agli ultimi posti invece vi sono Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea, dove viene calpestata ogni libertà compresa quella di informazione e di stampa. Queste tre ultime nazioni, definite come “trio infernale”, sono precedute dalla Siria, dove è in atto una guerra civile interna di cui si sa realmente poco, con le informazioni che vengono troppo spesso manipolate sempre dal potere. Per i paesi dell’Unione Europea la situazione è generalmente stazionaria, con 16 di essi che rientrano nei primi 40 posti della classifica, come la Germania (17°) e la Gran Bretagna (29°), la Spagna (36°) e la Francia (37°). Una cosa che, a prima vista, sembrerebbe incoraggiante, ma che in realtà nasconde la lenta erosione del modello europeo a seguito di contraddizioni e sviluppi preoccupanti dove alcuni Stati sono finiti oltre l’ottantesimo posto. Scrive Rsf: “il modello europeo si sta erodendo, l’emorragia legislativa cominciata nel 2011 non ha rallentato nel 2012, specialmente in Italia, dove la diffamazione deve essere ancora depenalizzata” e si evidenzia un “pericoloso uso delle leggi bavaglio”. Ad aggravare la situazione italiana – sottolinea l’Ong – è “il marasma pubblicitario e i tagli ai bilanci, che comportano una costante fragilizzazione del modello economico nel settore mediatico, e cominciano a far sentire i loro effetti”. Tra i Paesi in “picchiata” vi è la Grecia, slittata all’84° posto, dove, segnala il rapporto, “i giornalisti operano in un contesto sociale e professionale disastroso e sono esposti alla vendetta popolare a alla violenza delle fazioni estremiste e della polizia”. Il primo in classifica fra i Paesi extraeuropei è la Nuova Zelanda , all’8° posto della classifica di RSF. La Namibia invece è la prima tra le Nazioni africane, con la 19° posizione, mentre scende di 74 posti il Mali (in particolare dopo le ultime vicende di guerra). L’est del continente continua ad essere il “cimitero per giornalisti”, con il record di 18 uccisi in Somalia (175°) e il più grande numero di lavoratori dell’informazione detenuti in Eritrea, almeno 30.

Il Malawi (75°) ha registrato il più grande balzo in avanti nella classifica, ritornando quasi alla posizione che aveva prima degli abusi occorsi al termine dell’amministrazione Mutharika. Anche la Costa d’Avorio (96°), che sta uscendo dalla crisi post-elettorale tra i sostenitori di Laurent Gbagbo e quelli di Alassane Outtara, ha scalato la classifica, guadagnando la sua posizione migliore dal 2003.

In Nordamerica, gli Stati Uniti salgono al 32° posto dopo la fine della repressione contro ‘Occupy Wall Street’, in Sudamerica il Brasile si attesta al 108° e l’Argentina si posiziona al 54°. Un posto sopra vi è il Giappone che è stato colpito da una mancanza di trasparenza e da una quasi totale assenza di rispetto per l’accesso alle informazioni sulle tematiche direttamente o indirettamente connesse al disastro di Fukushima. A questo si aggiunge l’istituzione dei ‘kisha club’, associazioni di giornalisti di media tradizionali che non ammettono fra loro freelance o operatori del web, mentre RSF celebra la “rivoluzione della carta” in Birmania. Dal 2002 era sempre stata nelle ultime 15 posizioni; adesso, grazie alle riforme senza precedenti della “Primavera birmana” e all’assenza di giornalisti in carcere, ha ottenuto la sua posizione migliore di sempre al 151° posto.

I dati raccolti da Reporter Sans Frontiers non possono che portare ad una riflessione. Secondo il rapporto “Freedom House”, organizzazione indipendente statunitense che ogni anno pubblica i dati relativi alla libertà di stampa nel mondo, il nostro Paese è un raro esempio di nazione non ‘libera’ in Europa occidentale e si posiziona al pari di Guyana e Hong Kong. La caduta di Berlusconi non ha risolto i problemi proprio perché il potere politico, quello economico e quello occulto, intervengono sempre proponendo leggi ad hoc pur di mantenere salda la propria posizione di predominio controllando il più possibile il flusso di informazioni che vengono trasmesse all’opinione pubblica.

Basti pensare al sistema che vige nella gestione interna della Rai dove, ad esempio, dal 1975, per legge, il Parlamento (e da quando esiste la legge Gasparri proprio il Governo), detiene il controllo sul sistema radiotelevisivo pubblico. Questo comporta una forte ingerenza da parte della componente politica su quella dell’informazione.

La contemporanea assenza di una legge sul conflitto d’interessi ha fatto il resto.

estano pochi baluardi dell’informazione, pochi giornali (e giornalisti) veramente liberi di raccontare la verità. La Rete, per il momento resta l’ultimo strumento “senza controllo” ma si provi solo ad immaginare cosa sarebbe potuto accadere se qualche anno fa fosse passata alla Camera la legge proprosta dal senatore Udc D’Alia, per oscurare i siti internet. Una legge per obbligare i provider a oscurare siti, blog o social media come YouTube e Facebook, su richiesta del ministero degli Interni, per reati di opinione. Un’azione che sarebbe stata possibile senza alcuna sentenza da parte della magistratura e che sarebbe degna di un Paese autoritario come la Cina. E il “ddl diffamazione” di cui si è tanto parlato nei mesi scorsi rappresenta certamente una nuova forma di “intimidazione legislativa” all’attività dei giornalisti e dei blogger. Continui “attentati” contro lo “spirito critico”.

Impedire la loro realizzazione sta al popolo ma anche, se non soprattutto, agli addetti ai lavori. Sono pochi quelli che, per colpa di un sistema drogato dove “editoria e politica” spesso si trovano ad avere il coltello dalla parte del manico, quei giornalisti che possono realmente svolgere il loro compito. Ma forse la verità più profonda è che c’è bisogno di coraggio. Lo stesso che hanno avuto quei padri del giornalismo che per la verità hanno lottato e sacrificato la propria vita, alcuni anche perdendola proprio per le loro inchieste scomode. Giornalisti come Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Giuseppe Impastato, Mario Francese, Mauro Rostagno, Giuseppe Alfano, Giancarlo Siani, Walter Tobagi, Ilaria Alpi, Miran Horvatin e, Giuseppe Fava. Sono le parole di quest’ultimo quelle da tenere sempre a mente: “Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo”.

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