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“A chi l’Università?” “A noi!”

All’Università degli Studi di Messina comandano pure quelli della Brigata Folgore

Anni addietro in tanti ci avevano messo gli artigli: massoni, ‘ndranghetisti e faccendieri, ordinovisti e avanguardisti, procacciatori di voti e clientele, le grandi aziende farmaceutiche e di costruzione, perfino le società arricchitesi con il mito del ponte sullo Stretto. Adesso arrivano pure i vecchi e i nuovi parà a dettar legge, imporre liste di proscrizione contro qualche docente e ordinare il disconoscimento e la rimozione delle ricerche scientifiche sgradite.

Casus belli la pubblicazione nel gennaio 2012 nei quaderni del “Centro Interuniversitario per le ricerche sulla Sociologia del Diritto, dell’Informazione e delle Istituzioni Giuridiche” (CIRSDIG) di un saggio dal titolo Autoritarismo e costituzione di personalità fasciste nelle forze armate italiane. Autori i sociologi Charlie Barnao e Pietro Saitta che articolano la ricerca sulla base del racconto autobiografico sul servizio di leva che il Barnao stesso svolse dal settembre 1993 al settembre 1994 nella Brigata Paracadutisti Folgore (i primi due mesi nella Caserma addestrativa di Pisa e il restante periodo nel 186° Reggimento di Siena), arricchito da alcuni ritorni sul campo e interviste a testimoni privilegiati tra il 2000 e il 2009.

La ricerca ha inteso dimostrare come il processo addestrativo che si svolge nel Corpo dei parà sia concepito per formare “personalità autoritarie e semi-apertamente fasciste”. In particolare vengono analizzati rituali, pratiche e meccanismi adattativi tipici dell’organizzazione militare ma anche la modalità di riproduzione ed espansione del background culturale di coloro che transitano poi dalle file dell’esercito a quelle delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, ecc.) interagendo con la popolazione civile sia in scenari di routine (pattugliamento, assistenza, pronto intervento) che di ordine pubblico. Per Barnao e Saitta la professionalizzazione e la sostanziale commistione di ruoli, attitudini, pratiche e ideologie delle forze armate e di polizia rappresentano un grave pericolo per la tenuta della debole democrazia italiana e per i diritti di libertà dei cittadini. “E la Folgore costituisce un modello di riferimento per il dispositivo sicuritario nazionale, rivolto al fronte interno come a quello esterno”, spiegano i ricercatori.

Le pratiche quotidiane di formazione dei giovani parà, sin dal loro ingresso nell’istituzione, sono segnate da deliberati, ricorrenti e gravi episodi di violenza. “Si inizia con l’azzeramento delle abitudini acquisite, della cancellazione dell’orizzonte valoriale e normativo precedentemente appreso”, scrivono Barnao e Saitta. Lo scenario in caserma è quello magistralmente descritto nel film Full Metal Jacket di Stanley Kubrick: ordini urlati, annullamento di qualunque individualità, azioni imposte dai superiori in modo apparentemente illogico e per ragioni incomprensibili, ecc. “L’appellativo più usato per indicare l’allievo paracadutista è quello di mostro. Si è mostri perché si è vestiti con taglie sbagliate, con baschi troppo grandi o troppo piccoli, con divise che deformano. Si entra in quella terra di nessuno in cui non si è né carne né pesce, né civili né militari, né fanti né paracadutisti”. A sancire e rinforzare il passaggio verso lo status di paracadutista c’è un rituale d’eccellenza: si tratta della cosiddetta “pompata”, una serie infinita di piegamenti sulle braccia, eseguita dai giovani su ordine diretto di un superiore. Per forgiare ed esaltare la forza bruta, muscolare, piegandosi con busto e braccia davanti all’autorità assoluta dei capi.

Ci sono poi le piccole e grandi tragedie della recente storia d’Italia, a partire dalle missioni di guerra in Corno d’Africa nei primi anni ’90. Il diario rivisitato di Charlie Barnao riporta alla primavera del 1994 quando nella Caserma Lamarmora di Siena i parà rientrati dalla Somalia erano soliti raccontare impunemente i crimini commessi contro la popolazione. “Si vantavano di avere sparato e ucciso a freddo un gran numero di somali e raccontavano di stupri e pestaggi fatti per rappresaglia. Gli abitanti erano solo sporchi negri”. Nei racconti dei reduci c’era l’esplicito riferimento al “forte permissivismo” dei comandi italiani per l’uso di hashish e marijuana, sostante notoriamente disinibenti. E Barnao ricorda pure la grande delusione provata dopo un colloquio con il cappellano militare, alla vigilia della partenza di un nuovo contingente per la Somalia. “Gli chiedemmo di parlare della morte o di che significa uccidere un uomo per la patria o per una missione umanitaria. Il sacerdote ci rispose che doveva attenersi strettamente alla circolare ricevuta: i punti della discussione dovevano essere il linguaggio volgare e l’uso esasperato dei giornaletti porno nelle camerate. Cioè le bestemmie e le masturbazioni”.

La pubblicazione online della ricerca sulla costruzione delle personalità fasciste nelle forze armate ha scatenato le proteste e le manifestazioni di dissenso di numerosissimi (ex) appartenenti alla Folgore. In pochi mesi la casella di posta del Centro universitario messinese è stata letteralmente bombardata da centinaia di e-mail che invocano la gogna per i due ricercatori. Oltre 500 parà hanno sottoscritto una petizione al Rettore dell’ateneo Francesco Tomasello e al CIRSDIG. Giù le mani dalla Folgore! il leitmotiv. “L’articolo millanta una qualche pretesa di scientificità”, scrivono i militari. “Anche ad una prima lettura da parte di non esperti nella sociologia, esso appare viziato da gravi difetti metodologici, da interpretazioni estreme, da una carenza totale di fonti oggettive e, più in generale, da manifesta superficialità nell’affrontare le varie tematiche e nel riportare fatti senza verifiche”.

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