Eppure cambiare si può
I partiti (vecchi e nuovi) non riescono a prenderli sul serio. Ma i movimenti crescono lo stesso, e pesano sempre più
– E lei per chi vota?”.
“Beh, io voto per i ragazzi del NoMuos, oppure quelli che stanno facendo il teatro libero a Messina”.
– Ma non si presentano! Sempre voglia di scherzare, lei!
Beh, in realtà non è che non si siani presentati. Anzi. Hanno addirittura vinto le elezioni, due anni fa. Quando? Giugno 2011, referendum sull’acqua. Là non c’era porcellum, così ci siamo contati. I progressisti, in Italia, sono decisamente la naggioranza. Il problema politico, per il potere, è di non farglielo sapere. Finora ci sono riusciti.
“Io voto per Beppe Grillo!”. “Calma: meglio Bersani”. “Sì, però con Sel, così lo spingiamo avanti”. “Ingroia, Ingroia!”. Cari lettori, avete tutti ragione. Nel senso che più o meno volete tutti, più o meno convinti, le stesse cose. Siete gente civile, no? Basta ladroni, maledetti mafiosi, che schifo il precariato… Le cose un pochino si complicano quando dalla base si passa ai massimi dirigenti. “Antipolitico!”. “Estremista!”. “Servo di Monti!”.
In Sicilia, ad esempio, uno penserebbe che dopo vent’anni d’antimafia (da cui molti politici sono pur venuti fuori) alla fine qualcosa insieme si sarebbe fatta, almeno sul tema antimafia. E invece no. Chi s’è messo a salvare il mondo da solo, chi a fare strani governi con l’Udc, chi complicatissimi accordi con questo e quello. Tutti beninteso giurando sulla politica nuova e sulla società civile.
Che nel frattempo continua tranquillamente a ruminare il suo lavoro, tirando pazientemente la sua carretta (al Gapa lo fanno da venticinque anni), votando senza illusioni chi va votato, ma in fretta e pensando al lavoro, per non perdere tempo.
A Catania, ultimamente, la società civile aveva ottenuto (altro esempio) una vittoria abbastanza importante: il riavvìo della Procura e l’arrivo di un giudice estraneo non coinvolto in niente. Si riuniscono i generali della sinistra, recitano le preghiere di rito a Santa Società, e scelgono (in una stanza) il candidato: che è esattamente l’unico esponente della sinistra locale che a quella battaglia civile non aveva partecipato, l’unico che con la società civile reale non aveva voluto avere nulla a che fare. Non è un caso isolato.
Parliamo dei rivoluzionari di Ingroia, ma altrove non è che le cose vadano meglio. Per Grillo la mafia non esiste e fra fascismo e antifascismo non sa che dire. Bersani “non è Robespierre”, e dunque niente mai patrimoniale. Vendola finalmente è andato dagli operai, appena iniziata la campagna elettorale.
“Qualunquista!”. No, io li voto, mannaggia a me. Ma mi piacerebbe votare invece per l’asino, quello che fa il lavoro duro e tira brontolando e ragliando la comune carretta.
“Maledetti partiti, sono tutta una casta!”. Non è così. Il livello dei gruppi dirigenti non è incivile. Il Pd ha concesso delle primarie vere, con larga partecipazione; l’estromissione di Crisafulli sarebbe stata impenssabile ai tempi di D’Alema o di Veltroni. Ai grillini (nonostante il rapido imbarbarimento del leader) va riconoscito un sincero spirito d’impegno civile. Vendola è un ottimo amministratore della sua regione. E Ingroia ha il merito di avere osato per primo (parliamo dei politici) per brevi istanti una politica di società civile e di movimento.
La colpa non è loro, evidentemente. E’ del decadimento collettivo del “popolo di sinistra”. Esperienze e valori che un tempo erano ovvi e condivisi – l’organizzazione collettiva, le idee sopra le persone, la dignità individuale di ogni “compagno”, l’importanza dell’impegno personale, il voler essere partecipi e non spettatori – ormai non ci sono più. Sarà colpa di Berlusconi o Monti,.del Ventennio, chissà. Fatto sta che non ci sono più, e non fra i politici ma fra la “gente”.
Emergono ancora a volte – nelle ultime primarie, per esempio – ma episodicamente, come delle riscoperte improvvise o una indistinta nostalgia. E’ facile, per il vecchio mondo, riassorbirle paternalisticamente e digerirle nei media. Di tutto si può fare dibbattito, purché resti tale.
Sono molto più solidi, quei valori, e bollono anzi in continua incandescenza, quando sono vissuti fuori dalla politica ufficiale, nell’impegno immediato. Penso ai ragazzi di Libera, del Gapa, di alcuni altri centri di quartiere, ai movimenti per la terra e per l’acqua, ad alcuni sindacati e, naturalmente, ai nostri giovani redattori. La politica antica (qui è un complimento) a mio parere sta rinascendo esattamente lì.
Quanto tempo ci vorrà ancora perché essa si autogestisca del tutto, si omogeneizzi, porti a maturazione il percorso che anticamente dai primi sindacati e cooperative di poveri portò al grande e radicatissimo movimento socialista?
Speriamo, a ogni tornata, che l’occasione sia questa, che non ci sia più da aspettare. Che si possa finalmente lottare per qualcosa di più che non la difesa pura e semplice della democrazia.
Perché anche di questo si tratta: si parla di seconda e terza repubblica, ma la verità è che la repubblica non c’è più. Metà dei diritti costituzionali (a partire dall’articolo uno) sono stati ufficialmente cancellati. Possiamo votare ancora, ma non scegliere i candidati. Non c’è (ma c’è già in fabbrica) una dittatura, ma non c’è più una totale democrazia. A poco è cresciuto un regime nuovo, che potremmo anche chiamare una semidemocrazia.
E’ facile abituarcisi, considerarlo “normale”. Ma noi no, dobbiamo restare ancorati alla realtà – quella della nostra repubblica, non quella fittizia dei media. Dov’è finito l’ufficio di collocamento? Perché non posso votare più per il mio candidato? Quando me lo faranno, un contratto? Va bene le primarie ogni tanto, ma poi non posso decidere più niente? E perché non posso iscrivermi a quel sindacato? Perché non possiamo farci una casa e sposarci, se oramai stiamo insieme da tre anni?
Domande banali, d’accordo. Ma in realtà la politica sta là dentro.
“Ma insomma, per chi debbo votare?”.
E che ne so, io. Certo, non voterai per Monti o Berlusconi o per il babbo del Trota (o il successore), se no non mi avresti letto fin qui. E questo è l’importante. Per il resto, sbrigatela tu. A me l’unica cosa che importa è che faccia qualcosa di piccolo, ma concreto e visibile, nel tuo paese; o nella tua scuola o fabbrica o quartiere.
Qualcosa che sia fatto da te e non delegato agli altri, e senza affidarti ciecamente a nessuno. Se c’entra un po’ d’antimafia, tanto meglio; non c’è nulla che faccia più danno ai padroni del paese, e nulla che ci tenga uniti più strettamente.
E’ tempo d’elezioni, perciò sta’ in campana che non ti freghino il nome e non ti ritrovi sui cartelloni elettorali a tua insaputa com’è capitato al povero Pino Maniaci; non ti fidare dei leader, di nessun leader, perché se uno vuol fare il leader ha qualcosa di storto dentro la testa.
Non puoi votare per me, perché non mi candido; ma per caso un giorno o l’altro mi candidassi, allora dimmi “fanculo”. Se un giorno ti candiderai tu, che sia in elezioni libere, senza bisogno di leader e senza montarsi la testa.
Aspetta la repubblica, insomma. E lavora per farla arrivare, senza stancarti mai, senza paura.