domenica, Novembre 24, 2024
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La Fiat a casa nostra

“Dài, dài, siamo tutti con te!” ci dicono a ogni aggressione o minaccia. Noi questo mestiere continuiamo a farlo. Ma è sempre più stretto, sempre più precario. Ci sentiamo, come dire,un po’ marchionnizzat…i

Gennaio 2013, il bollettino di questo mese registra nelle prime settimane: tre colpi d’arma da fuoco contro un centro di quartiere che a Catania si occupa di formazione e informazione, due proiettili sparati contro l’abitazione di una cronista in Abruzzo, un giornale dell’hinterland milanese che rischia di chiudere, perché dopo le querele e le minacce è arrivato (anche) il passo indietro dell’editore.

E così siamo sui giornali (anche i nostri): “il cronista antimafia” “la giornalista minacciata” il “centro sociale contro i boss”. E ancora, il giornalista precario (che spesso è minacciato). Pronta la solidarietà della categoria “continua, siamo con te!”.

Siamo tutti, ad esempio, Ester Castano, giovane cronista milanese che ha subìto “le attenzioni” dell’ex sindaco del suo paese. Ester fa parte di una generazione che chiede di entrare nella macchina organizzativa di un giornale, come si fa in fabbrica, il prima possibile. Anche se sa che non c’è più posto. Da un pezzo.

Fra un esame di storia e uno di letteratura all’università, in questi mesi dovrà correre in tribunale a Biella, perché a dispetto dei suoi ventidue anni anni ha già da barcamenarsi con una denuncia per diffamazione plurima aggravata sporta dall’ex sindaco di Sedriano, Alfredo Celeste, indagato per corruzione all’interno dell’inchiesta della Procura di Milano che ha portato all’arresto dell’assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, accusato di aver acquistato voti dalla ‘ndrangheta.

Mesi fa il caso arriva alla grande stampa nazionale e il resto del Paese viene a conoscenza – grazie al monitoraggio dell’osservatorio “Ossigeno” – anche “delle attenzioni” e delle querele del primo cittadino contro Ester, ragazza dai capelli lunghissimi e lo sguardo attento, che collabora con il settimanale “Altomilanese”.

Ester e i suoi colleghi, anche loro nel mirino, hanno l’abitudine di fare domande alle conferenze stampa, studiare le carte giudiziarie dei processi, esercitare il diritto di cronaca rispetto agli atti amministrativi e alla gestione della cosa pubblica. Fanno semplicemente i giornalisti.

“In questi giorni sono scaduti i termini di custodia cautelare per l’ex sindaco Celeste – ci racconta Ester – è ed aberrante che su alcuni giornali locali sia stato quasi “assolto” quando il procedimento a suo carico continua ad essere in corso. C’è persino qualcuno che ha chiesto al sindaco “si sente una persona onesta, finalmente”?». Superficialità? Convenienza? Forse entrambe, in paese piccolo si hanno meno guai se rimani al tuo posto e non disturbi chi comanda. Ester, invece, ha un altro concetto di cosa voglia dire “stare al proprio posto”. Così vive da cronista di provincia in un giornale che si scopre, suo malgrado, di frontiera in una terra che non è più immune dalla mafia. Durante questo ultimo anno la giovane cronista è soprattutto una ventenne sorpresa da tutto quello vede, che sente e che vive perché quando ha scelto di scrivere e occuparsi di quello che accade in città, tutto è cambiato rapidamente. Durante i primi anni ha conosciuto sulla propria pelle l’isolamento e il cono d’ombra informativo che circondava l’hinterland milanese «nessuno nel resto del Paese vedeva quello che stava accadendo da noi» – spiega. Ma adesso le cose sono cambiate. «La nota positiva di questa storia che mi ha coinvolta e ha coinvolto il territorio – spiega Ester – è che ha stimolato una presa di coscienza collettiva, oggi la cittadinanza vuole essere informata e ci sostiene. In questi giorni in cui il giornale ha rischiato di chiudere in tanti hanno fatto sentire la propria presenza, persino con donazioni. Noi abbiamo scelto di non mollare anche per loro».

Cinquecento euro al mese per capiredattori e direttori e così a scendere per tutti gli altri: questo il prezzo che l’“Altomilanese” ha scelto di pagare per evitare la chiusura del giornale “al momento – chiosa Ester – siamo certi di riuscire ad andare in edicola sino al mese di aprile e speriamo di continuare”.

La storia di Ester come quella di Ilaria che da sette mesi aspetta di esser pagata dal suo giornale

(leggetela qui su Errori di stampa

non sono un affare privato, né un problema di ordine pubblico o di politiche sindacali, non sono infine la conseguenza della crisi di un settore, quello dell’editoria.

Sono, piuttosto, tutte queste dinamiche insieme ma soprattutto la cronaca di una fine annunciata: quella del giornalismo.

Non è politicamente corretto dirlo dalle pagine di questo giornale (o forse si) ma la verità è che non sappiamo ancora cosa diventerà davvero questo mestiere, forse lo stiamo ripensando, progettando, alcuni di noi sognano che torni ad essere un lavoro al servizio dei fatti e delle persone, nell’interesse della democrazia, ma di sicuro – come si scriveva nelle vecchie cronache di nera – c’è solo che è morto.

Non siamo all’anno zero, però. Oggi più di ieri riusciamo a raccontare queste storie, anche grazie al web, ma il passato e il presente di questo mestiere sono ancora stretti fra doppia morale e menzogne.

“Come si diventa giornalisti”? chiedono ancora i giovani aspiranti cronisti sulle pagine dei giornali “famosi” e i direttori forniscono spavalde risposte che hanno in comune tutte un dato: mentono sapendo di mentire. Pochi, infatti, in questi lunghissimi anni di agonia del giornalismo come mestiere hanno avuto il coraggio di raccontare che quello in cui “comandavano” era soprattutto il luogo della schiavitù legalizzata (spesso perversa perché faceva leva su sentimenti diametralmente opposti, dalla passione civile al narcisismo, ad esempio). Poi – a sollevarli dall’incarico – è arrivata a fine 2012 l’approvazione della legge sull’equo compenso per i giornalisti e la campagna coraggiosa che l’ha preceduta.

Cosa avrebbero dovuto dire? Solo la verità, per quanto crudele, sarebbe stata l’unica risposta onesta che avrebbe reso meno fragile il giornalismo, messo meno a rischio i cronisti di frontiera, fatto sentire meno soli i colleghi in tribunale. Invece è accaduto che in questi anni siamo stati con i lavoratori della Fiom e contro Marchionne, ma non abbiamo visto la Fiat che cresceva in casa nostra.

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