giovedì, Novembre 21, 2024
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“Viva Sansonetti con tutti i filistei”

Dopo l’epurazione di Paride Leporace e di Paolo Pollichieni, Piero Sansonetti smorza la dissidenza e la critica che ha coinvolto CalabriaOra e gli editori Fausto Aquino e Piero Citrigno

 

Angela Napoli, ex finiana, componente della commissione antimafia, in un’intervista pubblicata da Il Fatto Quotidiano il 1 luglio 2010, definì “allarmante problema etico la partecipazione ad una festa con i boss”, riferendosi alla presenza del governatore della Calabria Giuseppe Scopelliti alla festa dei Barbieri, come emerso nel corso dell’operazione Meta. Angela Napoli parlò apertamente della “democrazia calabrese come di una palude melmosa, in cui la connessione fra ‘ndrangheta e politica continua ad essere forte e radicata, in un intreccio di poteri mafiosi e massoni”.

A Scopelliti si addebitano la candidatura e l’elezione di Massimo Labate, ex capogruppo An, arrestato per collusioni mafiose, come il consigliere regionale Santo Zappalà, ex sindaco di Bagnara, arrestato e ancora detenuto con l’accusa di essere il referente delle cosche di San Luca. Ma il “modello Reggio” non finisce qui . I locali utilizzati per la sua campagna elettorale del 2007 furono messi a disposizione dal “re dei videopoker” Nino Campolo.

Da qua il sospetto del sostegno alle campagne elettorali da parte della ‘ndrangheta, aspetto che emerge dalle dichiarazioni del pentito Nino Fiume nell’ambito del processo “Testamento”. A questo si aggiunga il contributo concesso a Paolo e Francesca Labate, figli del boss Michele, beneficiari di un finanziamento comunale di novantamila euro per l’apertura di un salumificio e  il tenore delle intercettazioni dei consiglieri comunali Marcianò e Flesca, contenute nell’Operazione “Meta”, dalle quali si delinea, sull’asse di commistioni politica-mafia-imprenditoria, il quadro dei suoi consensi elettorali.

Un ginepraio che ha portato allo scioglimento del comune di Reggio Calabria e che fornisce elementi quotidiani a CalabriaOra, che Paolo Pollichieni ha diretto da quando è stato epurato il direttore-fondatore Paride Leporace – attualmente alla guida del Quotidiano della Basilicata – insieme ad un gruppo di bravi giornalisti calabresi.

Leporace, già caporedattore centrale del Quotidiano della Calabria – giornale dove ha lavorato fin dalla fondazione nel giugno del 1995 contribuendo con Ennio Simeone a farne uno dei giornali più letti della regione – ha ricoperto il ruolo di direttore responsabile di CalabriaOra  e ha fatto aumentare la lettura dei quotidiani in una regione con indici molto bassi di diffusione, portando le vendite a settemila copie al giorno. Nella sua breve direzione, durata tredici mesi, il giornale si è caratterizzato per alcuni scoop ripresi dai maggiori mass media italiani e in un anno e mezzo è riuscito a dargli un’anima e un ruolo nel dibattito politico e culturale.

Poi è stato costretto a lasciare le inchieste sulle collusioni tra politica e criminalità organizzata e sull’omicidio di Francesco Fortugno, vice presidente della Regione Calabria assassinato il giorno delle primarie nel seggio elettorale: un caso da nascondere a tutti i costi. Una storia che nessuno ha raccontato fino in fondo. Si è preferito – come scrive Piero Orsatti – dimenticarla nel cassetto della memoria. È la storia della nascita e dei primi anni di vita di Calabria Ora, tuttora in edicola ma con  un corpus redazionale mutato. Il clima attorno alla direzione di Leporace, nonostante i grandi successi, mutò infatti in brevissimo tempo. Gli editori tentarono di addomesticare un’inchiesta nella quale risultò coinvolto un politico di Forza Italia. La vicenda si dipanava in un ristorante dove si incontrava la politica calabrese e uno degli editori chiese a Leporace di non mettere il nome del politico in prima pagina. Poi la condanna per usura di Piero Citrigno, uno degli editori, e la pubblicazione della notizia.

È il tempo di “Why not”, delle inchieste di Luigi De Magistris, del disvelamento dell’intreccio fra affari e politica in Calabria; Leporace e i giornalisti di CalabriaOra puntano a smascherare le terribili commistioni emerse, non ancora del tutto, sull’omicidio Fortugno, sulle connivenze, sui gruppi di potere, sulle dichiarazioni profetiche di Francesco Cossiga che prevedeva nel mese di giugno “omicidi eccellenti in Calabria”.

Ma gli editori Fausto Aquino, amministratore delegato, vicepresidente nazionale della Piccola industria e Piero Citrigno, direttore generale della società editoriale Cec Sc. indirizzano, decidono, censurano.

La Calabria è una regione complicata, difficile, qui le regole non esistono per una classe dirigente insensibile, inadeguata, sulla quale la classe politica ed il consiglio regionale più inquisito d’Italia stendono la patina di legittimità conferita loro dal consenso popolare. Per Leporace l’esilio resta l’unica alternativa possibile. Alcuni dei giornalisti vengono costretti alle dimissioni o allontanati, anche quelli che hanno contribuito alla fondazione, come il sottoscritto, lavorando senza retribuzione per tredici mesi (si offre un contratto a riga: quattro centesimi, prendere o lasciare).

Si aprono delle vertenze legali, qualcuno intenta causa presso il Tribunale di Palmi ma, dopo anni d’attesa, deve prendere atto che la Cec Sc cambia, si svuota, e aumentano le scatole cinesi. La Cec Sc Acquisisce due marchi importanti, storici, quello del giornale siciliano L’Ora e quello del romano Paese Sera e oggi la società che edita CalabriaOra, affidata all’amministratore unico Nunzio Aquino – solo omonimo di uno dei compratori – si chiama proprio Paese Sera. La società “Paese Sera srl”.

Ma chi sono gli editori di CalabriaOra? Piero Citrigno. Il 15 dicembre del 2006, davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Cosenza si conclude, con diciotto condanne, il processo per la maxi-operazione dell’inchiesta anti-usura “Twister”, condotta dai Carabinieri e dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro nel 2004 contro un’organizzazione che gestiva un vasto giro di usura a Cosenza, un’associazione a delinquere capace di tenere mezza città in pugno con prestiti usurari che hanno creato una vera e propria economia parallela; sequestrano 30 milioni di euro in beni e società, ma soprattutto arrestano 39 persone per associazione per delinquere di stampo mafioso, usura, estorsione e riciclaggio. Tra  questi Piero Citrigno, al quale fu inflitta una pena di 3 anni e 8 mesi di reclusione.

Leporace e gli altri pubblicano. È la goccia che fa traboccare il vaso. Qualche mese dopo, il 10 aprile 2007, avviene il cambio della guardia alla direzione del quotidiano calabrese. L’incarico di direttore passa a Paolo Pollichieni.

La difesa dell’imprenditore e anche la Procura hanno proposto appello, chiedendo rispettivamente l’assoluzione dell’imputato e l’aggravamento della condanna; il 9 febbraio 2010, la pena inflitta in primo grado è aggravata. Il collegio di secondo grado ha ritenuto l’editore di “Calabria Ora” Pietro Citrigno colpevole del reato di usura e ha rideterminato la pena in 4 anni e 8 mesi di reclusione, 10 mila euro di multa ed il risarcimento alle parti civili da liquidarsi in separata sede. L’impianto accusatorio resiste anche alla Cassazione, che il 17 giugno conferma le condanne, anche se la posizione di Citrigno viene stralciata per richiesta degli avvocati.

Paolo Pollichieni, massone, nel luglio 1999 fu vittima di un attentato dinamitardo che gli distrusse l’auto. In quell’anno però ci fu un altro episodio analogo: a febbraio fu bruciata la vettura di Giuseppe Costantino, allora direttore generale dell’Asl numero 11. Nella stessa estate, gli investigatori intercettarono una telefonata tra il giornalista e Marco Minniti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo D’Alema, nonché compagno di scuola dello stesso Pollichieni.

Minniti, parlando al telefonino di Pollichieni, rassicurava il direttore della Gazzetta del Sud Nino Calarco, all’epoca presidente della “Ponte sullo Stretto”, che avrebbe fatto di tutto per inserire in finanziaria 5-6 miliardi per pagare gli advisor della società rimasti senza una lira.

«La chiamo oggi perché sono qui a Scilla con Marco e la voleva salutare» dice il giornalista al proprio direttore, Nino Calarco, nel corso di una telefonata intercettata dagli investigatori il 30 luglio 1999. Il cellulare passa al politico diessino: «Senti una cosa… l’unica potenza che tu non riesci a esplicare… con questi maledetti burocrati del ministero dei Lavori Pubblici… ancora questo decreto del bando non c’è!».

Si tratta di un bando per il finanziamento della Società Stretto di Messina: Calarco, il presidente, vorrebbe che fosse acquisita dall’Anas. Un tema già trattato direttamente dal direttore della Gazzetta col premier Giuliano Amato. Minniti: «Con Giuliano Amato come è andata?». Calarco: «Oh! Favoloso, favoloso… Però il problema caro Marco è che bisogna trovare nella Finanziaria un po’ di spiccioli perché io debbo chiudere la società perché non ho più una lira! … Non è che è una grossa cifra… 4… 5 miliardi…».

Anche il generale dei carabinieri Francesco Delfino (condannato in primo grado per truffa ai danni dell’imprenditore sequestrato Giuseppe Soffiantini) in una telefonata intercettata il 9 settembre ’99 si rivolgeva a Pollichieni per sollecitare un intervento di Minniti in relazione alla sua vicenda processuale.

Si aprono le indagini che conducono all’arresto, l’anno dopo, di undici personalità tra cui anche Paolo Pollichieni, allora responsabile della redazione reggina della Gazzetta del Sud, il più filogovernativo quotidiano meridionale.

Per il giornalista furono disposti i domiciliari, anziché i due anni di reclusione. Secondo gli inquirenti, con i suoi articoli aveva contribuito a delegittimare il direttore dell’Asl oltre ad “avere, in concorso con altri esponenti del mondo politico ed imprenditoriale, costituito un gruppo di potere politico-affaristico-imprenditoriale che, avvalendosi delle specifiche competenze e dei relativi ambiti di intervento di ciascuno, previa ripartizione dei ruoli, nel campo della politica, della informazione, della amministrazione pubblica e privata, era in grado di condizionare l’indirizzo gestionale dell’Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria, facendo ricorso all’intimidazione ed al ricatto per conseguire il controllo degli appalti e servizi relativi alla detta Azienda e per pilotare nomine ed incarichi di dirigenti sanitari ed amministrativi”. La delegittimazione pubblica permise la rimozione dall’incarico di Costantino ad appannaggio di Neri prima e Cosentino poi, entrambi intenzionati ad appoggiare la Edil Minniti nelle gare di appalto. Pollichieni sarà poi assolto in Appello.

Sulla vicenda – anche perché alcuni degli inquisiti appartenevano ai Ds – si avventarono nel 2003, con una interrogazione parlamentare, i deputati  di Alleanza Nazionale Meduri, Bevilacqua ed altri.

Nel 2008, il direttore del quotidiano CalabriaOra è coinvolto nell’inchiesta sulla malasanità che ha portato all’arresto del consigliere regionale Domenico Crea, il politico subentrato a Franco Fortugno dopo la sua uccisione, e nelle indagini sulla talpa e la fuga di notizie relativa alla vicenda “toghe reggine”. Si tratta di una storia all’interno della quale ritroviamo anche la figura del corvo (si firma così l’autore di una serie di missive che gettano fango su alcuni magistrati quali Luigi De Magistris, Nicola Gratteri, titolare delle indagini sulla strage di Duisburg, e Franco Scuderi) e la questione delle coperture politiche. Come all’epoca di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.  Ritroviamo anche denunce di anomalie nella gestione del caso De Gregorio (il senatore avrebbe agevolato affari immobiliari in favore di cosche reggine) e un’inchiesta “segretissima” finita sulle pagine di CalabriaOra insieme all’indagine sul presunto voto di scambio del senatore Marcello dell’Utri.

Sotto la direzione Pollichieni CalabriaOra guadagna la fiducia del diessino pluri-inquisito vice presidente della Giunta regionale della Calabria ed assessore regionale al Turismo Nicola Adamo; attacca il movimento antimafia Ammazzatecitutti e il suo leader Aldo Pecora.

Luigi De Magistris, in uno degli interrogatori rilasciati ai suoi colleghi di Salerno, rileva che nel corso delle sue inchieste Poseidone e Why not, “Pollichieni ha messo in atto una vera e propria strategia di stampa per cercare di screditare le indagini, con delle ricostruzioni assolutamente inverosimili e capziose, per cercare di rafforzare l’ipotesi dell’incompatibilità ambientale e quindi rafforzare le ragioni poste a fondamento della richiesta di trasferimento cautelare. Ritengo che Pollichieni abbia rapporti stretti, per esempio, con Pittelli, con Nicola Adamo, ma ciò che è più preoccupante sono i rapporti stretti che stavano emergendo tra Pollichieni ed anche alcuni magistrati. E su questo credo sia opportuno anche andare a verificare: è un’indagine che io avrei fatto perché stavo lavorando su Pollichieni, sulla proprietà di Calabria Ora, cioè verificare che non vi fossero magari degli interessi collegati proprio a questo aspetto”. Paolo Pollichieni era il vice presidente della società che, con Nicola Adamo, ha gestito diversi miliardi nella campagna promozionale della regione affidata a Oliviero Toscani.

 

“E Peppe incontrò il mafioso”

Su che cosa si è dunque rotto l’equilibrio tra gli editori e il direttore di CalabriaOra Paolo Pollichieni? Presto detto. Peppe, il governatore. Gli interessi economici, e non solo, dei due imprenditori si incontrano con una realtà politica regionale che esige rispetto, si fa sentire, e quando Pollichieni, che ha il dente avvelenato contro Peppe e il centrodestra per le prese di posizione sui suoi “infortuni” giudiziari, entra in possesso delle carte del processo “Meta” nel quale è coinvolto il governatore Scopelliti, pubblica tutto in prima a piena pagina con risalto di colore. Scopelliti frequenta uomini della ‘ndrangheta, ma Citrigno e Aquino non vogliono che si dica, l’alzata di scudi del centrodestra è prevedibile, la reazione degli editori anche.

Pollichieni pensa di poterla contenere ma lo mettono alle strette. Decide di pubblicare tutto. La sua prima pagina costruita con le indiscrezioni legate all’inchiesta della Dda di Reggio e Milano sulla ‘ndrangheta esce con titolo e sottotitolo in rosso: E Peppe incontrò il mafioso. A Milano Scopelliti vide più volte Martino, ambasciatore del clan De Stefano.

Gli editori sono infuriati, intervengono con tagli sulla distribuzione del giornale che in molte zone della regione non giunge in edicola, in altre con molto ritardo.

La scelta di pubblicare quelle notizie costa la sedia a Paolo Pollichieni. Con lui si sono dimessi alcuni bravi giornalisti: Pietro Comito e Agostino Pantano, il caporedattore centrale Barbara Talarico, i vicecaporedattori Francesco Graziadio e Stefano Vetere, il caposervizio di Cosenza Pablo Petrasso, quello della cultura Eugenio Furia e il responsabile delle cronache politiche Antonio Ricchio. Di Peppe e di questo governo regionale gli editori hanno bisogno per portare avanti i loro interessi economici.

 “Sapevamo che nessun politico importante di questa regione poteva rimanere indifferente agli articoli che parlavano delle sue equivoche frequentazioni, dei ricevimenti organizzati da imprenditori oggi arrestati per mafia, di quei banchetti dove con i mafiosi brindavano politici eccellenti – scrive Pollichieni nell’editoriale di commiato –; sapevo, e con me i colleghi che hanno firmato gli articoli, che raccontando le inchieste giudiziarie delle ultime settimane, scrivendo dei rapporti tra la mafia e la politica, non limitandoci al doveroso applauso verso le forze dell’ordine e i magistrati, ma raccontando anche i retroscena più inquietanti di quella zona grigia che è il vero capitale sociale della ‘ndrangheta, avremmo pagato dei prezzi altissimi”.

Quell’editoriale però non giunge in edicola. Il giornale è arrivato solo in quelle di Cosenza, a Reggio Calabria poche copie dopo le undici, niente nelle altre province calabresi. Guasti alle rotative a detta degli editori. Poi è uno degli editori, Fausto Aquino, a prendere le redini e dirigere, “temporaneamente” – disse – CalabriaOra.

Non è usuale nel panorama della stampa italiana che l’editore assuma la direzione del giornale, ma qui si può. Il quotidiano nei giorni successivi dà ampio spazio all’attività politica della giunta regionale e ai fondi europei portati  in Calabria da Scopelliti mentre non vi è traccia dell’inchiesta sulle frequentazioni del governatore con elementi del clan De Stefano.

Alla redazione, il direttore responsabile dice di non essere più in grado di garantire l’autonomia dei giornalisti nel pieno rispetto della libertà di stampa.

L’Assemblea dei giornalisti del quotidiano, rispondendo all’appello del segretario del Sindacato dei Giornalisti della Calabria Carlo Parisi, componente della giunta esecutiva Fnsi, si compatta: elegge il comitato di redazione e rivendica con forza la massima chiarezza sul “caso Pollichieni”, le più ampie garanzie a tutela dei posti di lavoro e il pieno rispetto dell’autonomia e dei principi etici e deontologici della professione giornalistica.

L’Assemblea dei giornalisti ha, quindi, votato all’unanimità la decisione di proclamare da subito lo stato di agitazione in attesa dei chiarimenti da parte degli editori e della presentazione del piano editoriale da parte del nuovo direttore responsabile e, in attesa dei chiarimenti richiesti da parte degli editori, pur ribadendo il massimo impegno nella fattura del giornale, ha infine deciso di ritirare le firme dagli articoli invitando i corrispondenti ed i collaboratori esterni ad imitarlo.

Il comportamento degli editori di CalabriaOra “provoca sconcerto e preoccupazione” ha commentato l’onorevole Maria Grazia Laganà, deputata del Pd e vedova di Francesco Fortugno, ora condannata per gli appalti truccati dell’Asl di Locri. «Nessuno deve sapere: il classico linguaggio mafioso per fare tacere chi fa il proprio dovere». Di “attentato alla libertà di stampa” e di “plateale ingerenza del centrodestra calabrese nella vita di CalabriaOra” parla l’onorevole Michelangelo Tripodi, segretario regionale del Pdci.

Ci vuole una scelta autorevole per smorzare la critica che ha coinvolto i due editori Fausto Aquino e Piero Citrigno, CalabriaOra, il sindacato dei giornalisti, i citrigniani della redazione.

Un nome grosso, ma chi? Piero Sansonetti, giornalista “rivoluzionario”, pupillo di Fausto Bertinotti. Arriva con la promessa del ritorno in edicola di Paese Sera lo storico quotidiano protagonista di mille battaglie. Un sacrificio si può fare: confino in Calabria e un quotidiano, storico, tutto per lui a Roma.

Le cose, però, non sono mai come appaiono e Sansonetti, guida del proletariato antagonista e nemico del padronato, chiude entrambi gli occhi sui guai giudiziari di Citrigno e Aquino e sui licenziamenti dei giornalisti “ribelli”. Diventa poi fustigatore dei giornalisti, di Susanna Camusso, passando per Ciccio Franco e il “Boia chi molla”.

Dopo aver licenziato il cronista Lucio Musolino, minacciato dalla ‘ndrangheta – e poche ore querelato dal presidente della Regione Peppe Scopelliti – dopo aver annunciato e poi rinunciato un incontro su fascismo e antifascismo con Roberto Fiore presso Forza Nuova di Milano, ha riesumato persino il “Boia chi molla” della rivolta di Reggio di quarant’anni fa.

“Boia chi molla” è la parola d’ordine. Era lo slogan della “rivolta di Reggio”, una delle pagine più buie della storia italiana, un misto di massoneria, eversione, interessi politici e mafia, che Sansonetti riabilita. Altro che slogan fascista, scrive in un editoriale, “Boia chi molla lo inventarono gli insorti della Repubblica napoletana e fu ripreso da Carlo Rosselli”.

 Il 13 novembre, a Lamezia Terme, CalabriaOra-Sansonetti e l’editore Piero Citrigno hanno discusso su “Il vento del sud” perché “il nord sfrutta il sud, vuole il suo lavoro, la sua fatica, la sua ricchezza, le sue tasse. Vuole dominarlo, vuole comandare. Per questo la Calabria deve ribellarsi, insorgere, aprire una grande vertenza, riprendersi i suoi diritti e la sua dignità. Boia chi molla!”.

Una sorta di leghismo dalle tinte nere – non senza riferimenti revisionisti, come quello di considerare sbagliata ed «insensata» la scelta dei sindacati di manifestare nel 1972 a Reggio Calabria contro la rivolta di Ciccio Franco e camerati – a pochi giorni da Forza del Sud, il topolino partorito da Gianfranco Miccichè in Sicilia.

La manifestazione unitaria dei sindacati del 1972, centinaia di migliaia di lavoratori e studenti da tutta Italia, “fu sbagliata, sbagliatissima” – scrive Sansonetti – perché animata da una “logica da occupazione militare”, e poi quello slogan “Nord e Sud uniti nella lotta era insensato”.

Il giudizio di Sansonetti sui “Boia chi molla” ha rivoltato le budella a molti tra i quali un personaggio mitico della sinistra calabrese, Peppino Lavorato, amico fraterno di Peppe Valarioti, il segretario del Pci di Rosarno ucciso dalla mafia nel giugno del 1980, sindaco, consigliere provinciale e parlamentare comunista: “Sansonetti ha aperto una riflessione sui moti di Reggio che io contesto. Altro che storie, ci sono atti e sentenze che dimostrano come quella rivolta fu un fatto eversivo, si stava preparando il terreno di massa al consenso per una svolta fascista. Non dimentichiamo che poi venne il tentativo di golpe del principe Borghese. Allora Pci e sindacati difesero la democrazia. L’ho scritto in un articolo inviato a Calabria Ora che però non è stato mai pubblicato”.

Contro questa operazione politico-editoriale è partita una petizione da parte di alcuni sindacalisti della Cgil. «Tutti sanno che si tratta di un motto fascista – denunciò Bruno Talarico, segretario della Cgil di Catanzaro – adoperato quarant’anni fa a Reggio. Il motto, usato da Sansonetti, riabilita anche Peppe Scopelliti, l’ultimo segretario del Fronte della Gioventù, che dà il patrocinio della regione all’iniziativa e Calabria Ora, in caduta libera con le vendite, cerca di ritagliarsi uno spazio di mercato cavalcando un fronte autonomista meridionale che guarda con nostalgia ai moti reggini.

Alla riunione nostalgica dei “Boia chi molla” c’è Peppe Bova, consigliere regionale espulso dal  Pd, – 211mila euro di benzina spesi in un anno e prontamente rimborsatigli dalla Regione – l’imprenditore Antonino Gatto, presidente di Despar Italia, la cui ascesa economica è stata ricostruita nella relazione dell’Antimafia sulla ‘ndrangheta, Enza Bruno Bossio, l’imprenditrice del Pd – moglie del consigliere regionale Nicola Adamo, altro espulso dal Pd oggi inquisito per l’affaire dell’energia eolica, rinviata a giudizio dalla procura di Lecce per i  finanziamenti equivoci della 488, Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e Nicola La Torre. Le conclusioni a chi sono state affidate? A Peppe Scopelliti. E’ questo il “nuovo vento del Sud” ?

Scende la notte su “Paese Sera”. Dopo gli anni ruggenti con il Pci, le storiche firme e il sofferto fallimento che portò alla chiusura del 1994, il quotidiano “rosso anche nella testata” finisce nelle mani di due signori particolari: Pietro Citrigno e Fausto Aquino, sua storica “spalla”. Questo sembrava il destino di Paese Sera con in sella l’ex rivoluzionario Piero Sansonetti e l’obiettivo di 120mila copie di tiratura iniziale e 80mila a regime.

“Faremo battaglie civili e politiche – affermò Citrigno – e combatteremo là dove ci sarà da combattere”.

Per ora le uniche battaglie che combattono i due soci, noti in Calabria come “il gatto e la volpe”, sono quelle giudiziarie. Citrigno condannato a quattro anni e otto mesi per usura nel processo “Twister” in cui 39 persone, vicini alle famiglie Presta e Chirillo che controllano la città di Cosenza e il territorio di Tarsia, furono accusate di associazione per delinquere di stampo mafioso, usura, estorsione e riciclaggio.

Tra gli arrestati anche l’editore di CalabriaOra-Paese Sera, Pietro Citrigno. Il suo nome salta fuori anche nel corso di un’altra inchiesta, quella sulla casa di cura «Giovanni XXIII», la cosiddetta “clinica degli scandali” di Serra D’Aiello, in provincia di Cosenza. A tirarlo in ballo, pur senza mai nominarlo, è l’ex parlamentare dell’Udeur Ennio Morrone, oggi nelle patrie galere, secondo cui un assessore della giunta di Agazio Loiero, insieme a un magistrato, brigavano per far finire la clinica nelle sue mani.

Il pm dell’inchiesta, Eugenio Facciolla, decide di sentire sia Citrigno che Fausto Aquino per il quale invece è stato chiesto il rinvio a giudizio per aver affittato all’Asp di Cosenza un palazzina di cui la sua società, «L’Edera srl», non aveva la proprietà ma solo un mero diritto di superficie.

 

 

Scheda

CITRIGNO E AQUINO:

LE MANI SU L’ORA

L’Ora, dichiaratamente di sinistra, ha rappresentato, attraverso le coraggiose inchieste contro i poteri occulti, l’indagine, i servizi, l’informazione di frontiera facendo del giornalismo uno strumento di lotta politica. La testata palermitana ha però pagato a caro prezzo l’attività di denuncia di piccoli e grandi scandali, corruzione, collusioni politiche: in termini di sacrifici umani, infatti, è il quotidiano che nella storia della stampa italiana ha il più alto numero di giornalisti uccisi dalla mafia: Mauro De Mauro, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato.

Il quotidiano non fu però solo questo. La redazione palermitana è stata centro di cultura e di aggregazione per un numero impressionante di intellettuali italiani: Vicenzo Consolo, Danilo Dolci, Gioacchino Lanza Tomasi, Vittorio Nisticò, Salvatore Quasimodo e Giuliana Saladino. Accanto a queste “penne” vi erano anche i “pennelli” di Renato Guttuso e le “matite” di Bruno Caruso. Alla fine degli anni Ottanta il Pci decise di cedere la gestione editoriale del quotidiano alla società Nuova Editrice Meridionale, ma i contrasti tra i rappresentanti della cooperativa e i fiduciari del partito sugli indirizzi editoriali, portarono alla decisione del Pci di sostituire in blocco il gruppo dirigente del giornale. Segnò il destino del quotidiano. La tiratura calò a picco passando da 25 mila copie a poco più di mille, fino a cessare le pubblicazioni nel 1992. Nel 2000 la proprietà giunse nelle mani dell’imprenditore Vinicio Boschetti, poi arrestato per bancarotta fraudolenta, che riportò la storica testata in edicola per un breve periodo prima del passaggio agli imprenditori calabresi Piero Citrigno e Fausto Aquino.

 

Scheda

“IL GATTO E LA VOLPE”

PERDONO PAESE SERA

Il “gatto e la volpe” perdono Paese Sera. Si gioca sull’asse Roma-Cosenza il futuro dello storico quotidiano. A disputarselo Citrigno e Aquino da una parte e la Nuovo Paese Sera srl, una società editoriale che fa capo al commercialista romano Massimo Vincenti. La battaglia legale allontana, per il momento, i discussi imprenditori calabresi da Paese Sera. Non basta pubblicare qualche numero unico di una testata per mantenerne la proprietà. Lo stabilisce una “calda” sentenza dell’estate scorsa del Tribunale Civile di Roma, IX sezione, che ha rigettato il ricorso di Pietro Citrigno e Fausto Aquino editori di CalabriaOra, per rivendicare la proprietà di Paese Sera. Il “gatto e la volpe” già editori de La Provincia Cosentina, avevano rilevato nel 2008 il marchio attraverso la Pieffe Holding. Dal ’99 la testata usciva con un numero unico all’anno; da qui l’estinzione di ogni diritto da parte dei vecchi proprietari che hanno venduto ai due la testata, visto che, come osserva il giudice Massimo Falabella con rinvio alla legge sulla tutela della proprietà intellettuale, “la pubblicazione con cadenza annuale di un quotidiano è senz’altro assimilabile a una non pubblicazione”.

La sentenza spiana adesso la strada alla cordata di imprenditori romani raccolti intorno ad Alessio D’Amato, ex consigliere regionale del Pd, che nell’ estate del 2007 si era fatto tra i promotori del rilancio di Paese Sera, registrandone il marchio e il dominio internet. Nel novembre dello stesso anno è così nata la Nuovo Paese Sera srl, una società editoriale che dopo diversi passaggi azionari fa oggi capo al commercialista Massimo Vincenti (46%), presidente del collegio sindacale dell’Agenzia Sviluppo Lazio, all’imprenditore Roberto Capecchi (25%), e per le restanti quote a Giuseppe Diana, Alessandro Radicchi, Angelo Muzio (già socio degli Editori Riuniti) e alla Umbra tel coop.

salvatore.ognibene

Nato a Livorno e cresciuto a Menfi, in Sicilia. Ho studiato Giurisprudenza a Bologna e scritto "L'eucaristia mafiosa - La voce dei preti" (ed. Navarra Editore).

Un pensiero su ““Viva Sansonetti con tutti i filistei”

  • Vinicio Boschetti

    C’è un pò di confusione nella stesura di questo servizio. La Testata L’Ora di Palermo ha avuto come ultimo proprietario il sottoscritto. Nulla a che vedere con l’Ora di Calabria.Nessuna concomitanza, sono due cose differenti.Questo a chiarimento.

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