Mario Ciancio, Catania e gli intellettuali di corte
Ho fatto il giornalista a Catania dal 1984, da dopo l’omicidio di Giuseppe Fava all’estate del 1996, quando, in seguito alla chiusura de I Siciliani nuovi, decisi di lasciare la città e l’isola. In quegli anni, non ricordo una sola presa di posizione del professore Pietro Barcellona contro i potenti della città. Né contro i potenti “perbene” né contro quelli che sparavano. Non ricordo nemmeno parole di sostegno e conforto a chi si opponeva, ai familiari dei morti ammazzati. Nessuna parola. Solo silenzi. Certo, non era il solo silente. A parlare, a scrivere, a denunciare, a documentare, a rischiare la pelle e i denari (che non avevamo, peraltro) eravamo in pochi. I più, si facevano gli affari loro. O discettavano di problemi “alti” e non si sporcavano le mani con l’ordinario scempio della città e delle esistenze delle persone che la abitano. “Intellettuali”. Discettavano dei massimi sistemi, ’ste robette terra terra le lasciavano a noi comuni mortali.
Tre anni e mezzo fa, dopo anni e anni di colpevoli distrazioni, le telecamere Rai tornarono a inquadrare Catania, e uno dei rari programmi di approfondimento giornalistico degno di tale nome, Report, dedicò alla città un’inchiesta meticolosa e ben documentata, in cui, per la prima volta su scala nazionale, si tracciava un profilo irriverente ma realistico di Mario Ciancio Sanfilippo, editore-direttore del quotidiano cittadino, La Sicilia, l’uomo più potente della città. Apriti cielo! In difesa della «città umiliata e offesa» si scatenò il “meglio” dell’intellighenzia cittadina, incluso il solerte “compagno” professore Barcellona, che tuonò contro le «bombe mediatiche» e «il fondamentalismo d’inchiesta», ché «scandali collusioni e misfatti ci sono dappertutto». Sembra di risentire le parole del “mitico” arcivescovo “antimafia” Luigi Bommarito il quale, ogni volta che qualche giornalista gli chiedeva della mafia a Catania, ribatteva piccato: «A Washington ci sono 400 omicidi l’anno, ma nessuno parla di mafia». Questo, sì, che è parlare chiaro.
Lo scorso martedì 27 novembre, in concomitanza con l’assoluzione in primo grado dei giornalisti di Report citati in giudizio civile da Ciancio, l’illustre professore ha vergato di suo pugno un “coraggioso” editoriale sulla prima pagina del quotidiano etneo per manifestare la sua «reazione indignata» verso il Gip Luigi Barone, che ha avuto l’ardire di chiedere un supplemento d’indagine alla Procura nell’inchiesta su presunti rapporti fra Ciancio e Cosa Nostra e sulla presunta benevolenza del quotidiano da lui diretto nei confronti dei boss etnei. Ma come si permette, il giudice Barone! Ma non lo sa che «proprio La Sicilia pubblicò molti anni fa un’intervista a Pio La Torre, poco prima che venisse assassinato, nella quale si denunciavano le collusioni fra i famosi cavalieri e i comitati d’affari che gestivano la mediazione tra politica e malaffare»?!
Prendiamo per buono ciò che sarebbe successo oltre trent’anni fa. E i trent’anni successivi? I trent’anni successivi, se l’esimio professore non se ne adombra, glieli racconto io, in pillole, molto in pillole, soffermandomi soprattutto su alcune “perle” che hanno caratterizzato il giornale di Ciancio nel “raccontare” le indagini sull’omicidio di Giuseppe Fava, che lui – dopo essere stato adeguatamente istruito da un suo ex allievo al quale si rivolse, per avere lumi, in seguito all’improvvido invito ricevuto dalla Fondazione Fava a intervenire alle iniziative in occasione di un anniversario dell’omicidio – dovrebbe quantomeno vagamente conoscere.
Quello che segue è un collage di ritagli di articoli da me scritti e pubblicati qua e là, nel corso degli anni, mentre il “compagno” Barcellona si cimentava nell’ardimentoso ruolo delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Ché, si sa, «la migliore parola è quella non detta».
P. S.:
Dimenticavo.
Esimio Illustre “Compagno” Professore Pietro Barcellona, mi duole comunicarLe che non era la seconda volta che il Gip Barone respingeva la richiesta di archiviazione della Procura, disponendo inoltre un supplemento d’indagine, ma la prima, e che ciò (quand’anche fosse stata la seconda) rientra fra i poteri conferiti dalla legislazione vigente a qualsiasi Giudice delle indagini preliminari. Pensi, quant’è bizzarra la legge!
passaparola………
Caro Direttore Riccardo Orioles,
Cara Redazione di I Siciliani giovani,
Il Direttore del quotidiano più diffuso della Sicilia orientale e centrale, Dottor. Mario Ciancio Sanfilippo, denominato ” La Sicilia”, viene indagato dalla Procura della Repubblica di Catania per riciclaggio e concorso esterno in associazione mafiosa.
Dapprima le prove formulate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della città catanese vengono archiviate – evidentemente per insufficienza di prove -, ma il Gip del Tribunale le respinge motivando una nuova indagine, al fine di approfondire meglio l’istruttoria.
La Procura della Repubblica di Catania delega per le successive indagini il neo Comandante Provinciale dei Carabinieri, Colonnello Comandante Alessandro Casarsa, che approfittando della nuova nomina si fà intervistare presso la sede del quotidiano in riferimento.
Mi si permetta immediatamente un paragone, che sicuramente ricorderete.
A Palermo il Colonnello Comandante, Carlo Alberto Dalla Chiesa, della Legione Carabinieri mai si sarebbe fatto intervistare in ” casa” di un indagato.
Profetica è la seguente frase da Prefetto della Repubblica di Palermo, Generale di Corpo d’Armata, Carlo Alberto Dalla Chiesa: ” Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti dice, come per combinazione: “perché non andiamo a prendere il caffè dai tali”. Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l’eroina scorre a fiumi, ci vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che potrei avallare con la sola presenza quanto accade”.
Quindi, secondo la frase del Generale Dalla Chiesa, l’indagine investigativa delegata dalla DDA catanese al Colonnello Casarsa potrebbe – sicuramente!? – subire la mancanza di riserbo e la sicurezza che meriterebbe. Fors’anche con il rischio di comunicare all’indagato sviluppi dell’indagine che lo riguardano, facendo intervenire la Procura della Repubblica di Catania che indagherebbe l’indagatore per ” mancanza di riservatezza in indagini coperte dal segreto d’ufficio”.
Rendendo vano l’approfondimento dell’indagine, e mettendo a repentaglio la vita di chi è stato delegato dal Colonnello Casarsa ad indagare:esempio a futura Memoria: il Maresciallo Maggiore Giuliano Guazzelli,soprannominato” Il mastino” e Maresciallo Maggiore Vito Jevolella, che erano contesi – guarda caso – dal Generale Dalla Chiesa.
Grazie!…