Gaetano Porcasi pittore antimafia
Murales su tela per raccontare una Sicilia epica e dolorosa
Ha fatto i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha lavorato in Sardegna, poi in Sicilia, adesso insegna presso il Liceo Scientifico di Partinico. Da una decina d’anni a questa parte ha scelto di dipingere la storia, soffermandosi in particolare su tutte le vittime di mafia.
Ha cominciato con la strage di Portella della Ginestra, alla quale ha dedicato una decina di quadri, si è poi spostato sugli esponenti delle forze dell’ordine, sui magistrati, sui giornalisti, sui sindacalisti uccisi, sulle vittime della società civile, sulle esperienze antimafia, sul ruolo della chiesa. Il suo amore per la Sicilia lo ha portato a coglierne i molteplici aspetti, i volti, i luoghi, i mestieri, gli uomini, le donne, i bambini, gli intellettuali.
Adesso sta lavorando sulle stragi in Italia e nel mondo, partendo dall’Unità d’Italia e della tragica mattanza operata dai Piemontesi nel Mezzogiorno, continuando con i Fasci Siciliani, con le stragi naziste, quelle neofasciste di Piazza Fontana, dell’Italicus, della stazione di Bologna, per arrivare alla strage di Duisburg.
I suoi quadri passano in rassegna i 150 anni di storia dall’Unità cercando di recuperare angoli di memoria dimenticati e frammenti di storia dove la violenza subita dalle vittime, il loro sangue, la loro morte, diventano quasi una sorta di seme e di strumento per attivare una interiore palingenesi, un momento di riscatto in cui l’evento raffigurato suggerisce la volontà di andare avanti e di non fermarsi nella dimensione immediata del dolore.
L’arte è agire, fare, produrre. E ciò che l’artista produce può provocare un’emozione, generare un coinvolgimento interiore, ma può anche contenere un messaggio, indicare un valore, un principio, una via. In tal senso l’arte diventa etica, contenuto morale, stimolo pedagogico, momento educativo.
I quadri di Gaetano Porcasi suggeriscono un percorso tragico, scandito dai numeri civici che indicano gli anni in cui è successo l’avvenimento raffigurato e tracciano una lunga via di dolore che attraversa la Sicilia: sotto traccia s’intravedere l’intenso e sotterraneo lavoro con cui gli uomini che si dedicano alla lotta contro la mafia giornalmente costruiscono una via alternativa dalla quale si snoda faticosamente il percorso della liberazione dal potere e dalla violenza mafiosa.
Si tratta di un racconto storico che si sofferma su momenti drammatici e su persone che hanno messo in gioco la propria vita per dare un contributo alla battaglia, sempre attuale in ogni parte d’Italia, contro il malaffare, contro la prepotenza , contro la violenza e contro le collusioni politico-mafiose, avendo come obiettivo la prospettiva di un cambiamento o di un rinnovamento radicale, con la certezza di avere fatto sino in fondo il proprio lavoro e il proprio dovere.
Progettare il futuro guardando all’eredità del passato, conservare la memoria per costruire il presente, individuare valori di riferimento e trovare nella propria interiorità la forza per non subire e per saper lottare. Questo è il forte messaggio contenuto nelle tele di Porcasi.
Non c’è la perfezione stilistica, il tocco del “maestro” che riesce a dare compiutezza formale ai particolari attraverso una completa padronanza della tecnica e del disegno. Non c’è la ricerca di significati nascosti all’interno della realtà, di dimensioni subliminari, di esplorazioni nei misteri dell’inconscio, di transfert interni all’immagine, come veicolo verso mete ignote della soggettività.
Non c’è l’astrazione dalla realtà verso formalizzazioni geometriche che dissolvono il reale schematizzandolo in simboli di cui non sempre si intravede la pregnanza di un significato. Non c’è la deformazione del reale alla ricerca della demolizione dell’armonia della forma e dell’equilibrio della classicità, verso immagini perdute in una fissità quasi infantile. Non c’è il surrealismo, l’astrattismo, il simbolismo, la metafisica, non ci sono particolari eccessi, sforzi di creatività fantastica o scoperte di dimensioni magiche. Non c’è Dalì, Matisse, Klimt, Ligabue, Botero, De Chirico, Kandinski, Munk o qualche altro mostro dell’arte contemporanea. Stenteremmo a trovare una classificazione della pittura di Gaetano Porcasi in una scuola o in una corrente. Qualche richiamo con il realismo di Guttuso o con l’iperealismo dell’arte russa di regime, o ancora, alla pittura messicana contemporanea si ferma là, perché egli non pretende di trasfigurare l’immagine in dimensioni personali o servirsi di essa per comunicare specifici messaggi politici.
Secondo la lezione del verismo siciliano egli riproduce ciò che è già perfezione nella sua condizione naturale, fissa l’attimo nella sua irripetibilità, inondandolo di colori e di luce, si ferma sulla soglia che separa la cronaca dalla storia, ma che possiede, nel suo essere “fatto”, un preciso significato che trascende il fatto stesso e lo rende valore, principio etico, messaggio. Il pennello si muove disinvoltamente sulla tela e la disinvoltura non è, o non è solo, come talora succede, sinonimo di superficialità, ma è anche possesso delle conoscenze indispensabili della tecnica.
Va anche detto che ci troviamo davanti a una pittura difficilmente commerciabile; un quadro che fa parte di un’epopea o che si lega ad altri per illustrare una compiutezza storica, non è un prodotto singolarmente acquistabile: in un mondo in cui tutto è monetizzato o trasformato in valore di scambio, ciò è eticamente un pregio, economicamente un difetto.
E così le rughe dei contadini, le mani ossute, il viso scavato, diventano le rughe e le escrescenze degli ulivi, la ricchezza vegetativa e le vivacità della ginestra diventano la fecondità e la dolce bellezza delle donne siciliane, il pathos della morte nasconde il germe della rigenerazione, gli alberi sono legati alla terra così come gli uomini che da essa cercano nutrimento, le agavi e i girasoli sono protagonisti dello spazio nel loro contorto sviluppo che diventa metafora della Sicilia, nella sua dimensione di centro della storia e ombelico del mondo.
Si potrebbe osservare che la “solarità mediterranea” sia la caratteristica dominante di questa pittura, certe volte arida, altre volte ricca di vegetazione e colori, che il pittore sia prigioniero della dimensione che lo circonda, che non riesca a trasferirsi oltre le immagini che gli si presentano quotidianamente. In realtà si tratta di un microcosmo sistematicamente studiato, dove lo spazio delle emozioni è imbrigliato da una razionalità lineare, che, dal suo angolo particolare, intriso di sicilianità, si proietta nella dimensione universale della storia e dell’arte.
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Gaetano Porcasi ha dipinto più di 600 tele. Una trentina di esse si trovano a Corleone, in quella che fu la casa di Bernardo Provenzano e di suo fratello e che, ristrutturata dal Comune è diventata “Casa della Legalità: circa diecimila presenze l’anno ci danno l’idea del successo di questa iniziativa. Anche a Spello, nella ristrutturata Villa Fidelia, c’è una mostra permanente con una ventina di quadri. E’ in allestimento, ad Alcamo, un’altra iniziativa che prevede l’allestimento di un museo permanente delle stragi. E infine è in stampa un libro, curato dallo scrivente, che rappresenterà una sorta di catalogo di tutte le opere dell’artista e che sarà anche un prezioso strumento di lavoro per coloro che vorranno fare lezioni di antimafia.
Parlare dell’opera del maestro Gaetano Porcasi non è cosa facile per me che rivesto il doppio status di vittima del terrorismo e orfano di vittima della mafia, poichè osservare le sue opere, da un lato mi infonde orgoglio e gioia per la compagnia che danno, dall’altro un sussulto di dolore, a volte di rabbia, fanno affiorare alla mia mente i numerosi episodi di sangue e lutti che mi hanno visto osservatore impotente nel susseguirsi degli stessi, episodi accaduti come folgori scatenate sul territorio siciliano e non solo.
Quando qualche settimana fa ho avuto l’onore di assistere ad una sua mostra nel castello di Carini, palcoscenico di un altro tragico avvenimento, ho gustato i colori sgargianti, che nelle brochures non traspaiono, le pennellate, che io ho subito definite portatrici di messaggi, l’uso dei pennelli come fossero bisturi, la caparbietà di una tecnica pittorica che affascina, una finestra sul mondo che invita a riflettere e ricordare. Il maestro Porcasi ha deciso di realizzare un’opera che ricordi l’omicidio di mio padre,vittima innocente di mafia, questa opera farà parte di un progetto ben più ampio, che servirà non solo e non tanto a ricordare mio padre, quale servitore dello Stato avendo trascorso buona parte della sua vita nell’Arma dei Carabinieri, ma servirà e di ciò ne sono fermamente convinto, alle scolaresche che verranno coinvolte.
Spiegheremo in una conferenza stampa il progetto che vedrà coinvolti il maestro Porcasi, il GAUSS-Group of Astrodynamics for the Use of Space Systems dell’Università La Sapienza di Roma e spero anche le scuole la Regione Sicilia e l’Arma dei Carabinieri.
Intanto un grazie al maestro, motore di questo progetto e all’ing. PhD Chantal Cappelletti Chief Executive Officer.
Carmelo Bartolo Crisafulli.