Le primarie del PdL
Le primarie del Pdl sono la parodia delle primarie del Pd, che a loro volta nacquero come parodia delle primarie del Partito democratico Usa
Spiazzato dall’effetto promozionale di quelle del centrosinistra, il centrodestra ha deciso di organizzare in tutta fretta una gara analoga. Così, per occupare il tempo, per fingere che il partito non si sia completamente squagliato, per richiamare i giornalisti e strappare spazio al centrosinistra sui quotidiani.
I candidati sono undici o dodici o tredici, le primarie sono state fissate per i giorni che precedono il Natale, ma di qui a quella data non si sa quale candidato sarà ancora in pista o avrà rinunciato. Il capo, Silvio Berlusconi, è contrario, ma lascia fare ai suoi come si fa coi bambini ed esclusivamente per ragioni di marketing.
Per un partito di plastica, primarie di plastica. Si è gettata nella mischia perfino la giovane Giorgia Meloni, che non nasconde di aspirare alla presidenza del consiglio, dopo aver naturalmente sconfitto al voto gente come Bersani, Renzi o Vendola.
Ma i suoi amici ex An si sono accorti che forse tutti quei nomi sono controproducenti, c’è poca serietà. Mentre la Meloni si candida, la Mussolini si ritira, convinta che si tratti semplicemente di “una squallida resa dei conti interni, che porterà a un indebolimento politico del partito e della sua classe dirigente”.
A parte il banchiere Gianpiero Samorì, il primo “moderato in rivoluzione” che si differenzia per i capitali a disposizione, gli altri non si distinguono l’uno dall’altro se non per il personaggio televisivo che rappresentano: Sgarbi, Santanché, Biancofiore…
Dall’alto, Berlusconi – che sembra ormai giunto alle conclusioni di Luigi XV, aprés moi le déluge – se la gode, anche perché è chiaro che Alfano sta facendo quello che lui gli ha detto di fare: una cosa tipo “organizzami quest’ultimo festino”.
A godere di più, tuttavia, è l’uomo che a gennaio o a febbraio potrebbe fischiare la fine della ricreazione nell’uno e nell’altro schieramento, l’attuale presidente del consiglio Monti, la cui popolarità – come continua a sottolineare egli stesso – è di gran lunga superiore a quella di cui possono beneficiare tutti i partiti della sua coalizione insieme.
A lui Montezemolo (ex Confindustria) e Bonanni (Cisl), una coppia uscita finalmente allo scoperto, pensando di fargli del bene, hanno creato una sorta di carrozza – benedetta dal segretario di Stato del Vaticano, Tarcisio Bertone – sulla quale deve solo salire: il movimento è chiamato “Verso la Terza Repubblica”e vi hanno aderito, non si sa quanto festanti, anche i lavoratori delle Acli, un’associazione che negli anni Settanta era forse più a sinistra della Cgil.
Montezemolo scalda il letto di Monti, in attesa che questi dica finalmente se intende continuare l’esperienza governativa oppure tornarsene in Bocconi. Sa bene che Monti non avrebbe alcun problema a sbarazzarsi di qualunque candidato del centrodestra, Berlusconi compreso, e andare alla sfida con quello che sarà il leader del centrosinistra, dove peraltro militano parecchi “montiani”.
C’è semplicemente un paradosso che accomuna le primarie del Pdl e il lancio di “Verso la Terza Repubblica”: nessuno – tra gli uni – sa dire con certezza se le primarie si faranno veramente, nessuno – tra gli altri – sa dire con certezza se Monti accetterà la corona che gli porgono.