venerdì, Novembre 22, 2024
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Uno stipendificio per parenti e amici

Un processo fotografa una pre­sunta storia di clienteli­smo e truffe ai danni dello Stato. Coinvolti politici di pri­m’ordine, tra cui l’ex braccio destro di Lom­bardo a Ragusa, Mi­nardo

Un consorzio per lo sviluppo del ter­ritorio pare fosse un vero e proprio “stipen­dificio” per i parenti e gli amici di alcuni politici ragusani. O almeno questo emer­ge dalle testimonianze del Processo Co­pai che vede indagato pure l’ex senatore e deputato regionale Mpa, Riccardo Mi­nardo.

L’ex luogotenente di Raffaele Lombar­do nella provincia iblea fu arre­stato nell’aprile dello scorso anno dopo un’inchiesta della Guardia di Finanza su presunte distrazioni di fondi pubblici at­traverso il Consorzio per la Promozione dell’Area Iblea (Copai).

Tra i reati contestati rientrano – a vario titolo – la truffa aggravata ai danni della Comunità Europea, dello Stato e di altri enti pubblici, e quelli di malversazione, estorsione e riciclaggio.

Il processo è entrato nel vivo in questi giorni e, nel corso di una delle prime udienze, sono stati sentiti i testimoni dell’accusa. È il colonnello Dieghi, diri­gente del nucleo di polizia tributario di Ragusa fino al 2008, a rivelare la situa­zione rispondendo alle domande del pm Francesco Puleio. Dalle sue risposte emerge una descrizione del Copai come di un ente dalla struttura evidentemente clientelare, che non aveva dipendenti, ma collaboratori a progetto.

Di questi, la maggioranza era costituita da persone vi­cine a Rosaria Suizzo – al­tra imputata e presidente del Copai – e all’assessore provinciale al Territorio e all’Ambiente, Giancarlo Floridia. Le in­dagini della po­lizia tributaria sul Copai partirono pro­prio da controlli bancari sui conti dello stesso Floridia, dai quali era­no emersi versamenti considerevoli e in­giustificati a suo favore da parte del Co­pai. Stando al racconto del colonnello Dieghi, tra i collaboratori del Copai c’era anche il fi­glio dell’assessore Floridia. La testimo­nianza di Dieghi viene messa a dura pro­va dalle domande di uno degli avvocati difensori, Enzo Trantino.

Nel corso delle stesse indagini, si sco­prirono fatture emesse da una società slo­vena con sede a Capo d’Ischia per una ci­fra considerevole di materiale informati­co, che il Copai sembrava aver acquista­to. Dall’esame delle visure camerali è emer­so, però, che la ditta slovena non si occu­pava di hardware e software, ma di pro­dotti di falegnameria.

E Il marito della Suizzo, Mario Baro­ne, aveva imprese nello stesso settore del commercio del legno. Pare che il traspor­to in Sicilia del presunto materiale infor­matico in realtà non sia mai avvenuto, perché le lettere di vettura sono risultate false.

Le rivelazioni di Dieghi vengono in parte confermate da quelle del marescial­lo del­la Finanza Giaquinta. Nel Copai – secon­do il militare -, i soldi non veniva­no usati solo per la realizzazione dei pro­getti, ma era una specie di “stipendificio”. Serviva a pagare stipendi di figli, nipoti e parenti di politici.

Il processo diretto a far luce sulle vi­cende della gestione del Copai sembra pro­mettere, sin dal suo inizio, significati­vi colpi di scena, e c’è da aspettarsi che del­le dichiarazioni dei due militari si tor­nerà a parlare presto.

Intanto, Riccardo Minardo, nelle ele­zioni regionali, non ha ottenuto il risulta­to elet­torale sperato ed è rimasto fuori dall’Ars. Forse scontando l’ombra del caso Copai e del conseguente arresto.

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