Depistaggi eccellenti da Mattei a Impastato
Ha radici molto antiche, in Sicilia, l’omertà sui rapporti fra Stato e mafia
Estate del 1950, cortile De Maria in via Mannone a Castelvetrano. Nella città dei campieri mafiosi Messina Denaro si compie il primo dei delitti del dopoguerra frutto delle commistioni tra Stato e mafia. Il bandito Giuliano che era diventato il pericolo numero uno da abbattere, sia per lo Stato che per la mafia compiacente con i politici, viene trovato morto, volto a terra, nello sterrato di questo cortile di proprietà dell’avv. De Maria. Ha la canottiera intrisa di sangue, ma a terra nemmeno una goccia del suo sangue. Ucciso, fu detto, dagli agenti di un gruppo speciale che lo braccavano. Così raccontarono per i cronisti che giunti da tutta Italia presidiarono la zona. Ucciso dai suoi compari si scoprì invece molto presto, Aspano Pisciotta, il suo braccio destro lo uccise perché così gli ordinò un pezzo grosso della politica, per poi lui venire ucciso con un caffè all’arsenico mentre era in carcere all’Ucciardone di Palermo. Un delitto che fece guadagnare potere alla mafia, che così più accumulava segreti, più era protagonista di commistioni, più si infiltrava nel tessuto sociale dell’isola, più riusciva ad arrivare dentro le banche, le istituzioni, l’industria.
Una decina di anni dopo altro mistero, altro giallo. La bomba piazzata nell’aereo di Enrico Mattei il presidente dell’Eni. Il velivolo decollò dalla Sicilia con dentro l’ordigno. Una morte che più che alla mafia serviva ai grandi potentati economici che gestivano il petrolio e dei quali Mattei era diventato il nemico pubblico numero uno. Erano gli anni in cui le rotte tra la Sicilia e i paesi Arabi sono parecchio frequentate, scambi anche e soprattutto illeciti, armi, droga. Anche dall’Est europeo si guarda alla Trinacria, le rotte commerciali sono le stesse sulle quali viaggia lo stupefacente. Le scopriranno negli anni ’80 due magistrati, una lavorava a Trento, Carlo Palermo, un altro a Trapani, Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Montalto fu ucciso il 25 gennaio del 1983, Palermo sfuggì ad un agguato di mafia, una bomba al tritolo piazzata dentro un’auto a Pizzolungo, il 2 aprile 1985, morirono Barbara Rizzo Asta ed i suoi due figli, i gemelli di sei anni, Salvatore e Giuseppe. Palermo e Montalto senza parlarsi si erano imbattuti in due nomi, Karl Khlofer e Nanai Crimi, altoatesino, narcotrafficante il primo, capo della mafia trapanese il secondo.