Minardo e Prestigiacomo: le mani sull’oro nero
Petrolio al largo di Pozzallo. E subito, i “soliti noti”…
Si discute di un possibile allargamento della piattaforma petrolifera Vega a largo di Pozzallo. E tra i soliti noti dell’imprenditoria siciliana c’è chi si frega le mani odorando il petrolio. Si fiutano affari da centinaia di milioni di euro.
Nel caso delle piattaforme Vega l’affare per l’imprenditoria locale si chiama “Leonis”. Si tratta della nave appoggio messa in funzione nel 2009 in seguito alla dismissione della Vega Oil, protagonista di una vicenda approdata in questi mesi in tribunale.
La Leonis, colosso galleggiante da 110 mila tonnellate ricavato dalla trasformazione dell’ex petroliera Leonis in FSO (Floating Storage Offloading), è ormeggiata a circa 2 miglia dalla piattaforma Vega ed è ad essa collegata tramite condotte sottomarine.
La nave è adibita alla ricezione del greggio estratto, al suo pretrattamento, e infine al trasferimento sulle petroliere che trasportano il greggio verso gli impianti di raffinazione.
Ad aggiudicarsi la gara d’appalto indetta da Edison, il Consorzio CEM (Construction, Erection and Maintenance), che dopo aver acquistato Leonis dalla Fratelli D’Amico Armatori Spa, ha eseguito i lavori per la trasformazione della petroliera in FSO e ne è divenuto noleggiatore.
Un’operazione da oltre 110 milioni di euro, di cui 80 anticipati da Eni ed Edison in cambio di un contratto di noleggio a lungo termine e 34, destinati all’acquisizione dell’unità navale e alla copertura dei lavori di trasformazione in FSO, versati dal gruppo UniCredit.
Terminati i lavori di conversione, nel 2009 la Leonis è stata rimorchiata dai cantieri di Augusta sino al sito della connessione con la piattaforma Vega.
Già nel periodo dell’inaugurazione, avvenuta nel 2008, l’allora Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo era “oggetto” di interrogazioni parlamentari che sollevavano un conflitto d’interessi. Il compito del Ministro era infatti quello di vigilare sull’operato di colossi petroliferi clienti delle aziende di famiglia.
Del CEM, consorzio formato da alcune tra le maggiori imprese siciliane di progettazione, costruzione e montaggio industriale, fa infatti parte la Coemi Spa, impresa di famiglia dei Prestigiacomo nata nel 1974 a Priolo, che oggi vanta, tra gli altri, clienti come Eni, Erg, Esso, Enel, Siemens. L’amministratore delegato è Maria Prestigiacomo, sorella dell’ex Ministro.
Ma non finisce qui: la Coemi è controllata dalla Holding Fincoe Srl che ne possiede il 99%. A detenere gran parte delle quote Fincoe proprio la famiglia della Prestigiacomo, con un 9,7% intestato al padre Giuseppe, un 21,5% alla sorella Maria Pia e un altro 21,5% a Stefania fino al 2009, quando la quota è passata alla madre.
Ma la Leonis riserva altre sorprese. Tra i “noti” che hanno fiutato l’affare figurano famosi personaggi dell’imprenditoria nella nostra provincia.
Il “Progetto Leonis” è la punta di diamante della Tea Shipping Srl, una società di gestione marittima e navale con sede legale a Milano e sedi operative a Milano e Pozzallo, che si occupa dell’unità navale in questione. Amministratore unico di questa società è Raimondo Minardo, figlio del più famoso Saro.
All’interno della società figura anche Marco La Pira, socio in un’altra azienda impegnata nel settore marittimo insieme a Riccardo Radenza, imprenditore nel settore alimentare e Giorgio Zaccaria, figlio dell’imprenditore edile Giuseppe.
Altro socio della Tea Shipping è Massimo La Pira, ex assessore dell’Udc e del Pdl a Pozzallo, coinvolto ed assolto nell’inchiesta Modica Bene.
Sebbene il settore petrolifero sia destinato ad esaurirsi nel giro di pochi anni, pare proprio che esso consenta ancora ai signori del petrolio di fare affari. Se il raddoppio del campo Vega dovesse essere approvato, la Leonis continuerebbe la sua attività anche per la nuova piattaforma, che sarà collegata alla prima.
Così, mentre dal Ministero dello Sviluppo economico fanno sapere che lo scenario di sviluppo in Italia non supera i sette anni per l’estrazione di gas e i quattordici per l’olio greggio, i nomi che contano continuano a investire sull’oro nero. Fino all’ultima goccia.
LA TRIVELLA
“MARI SPIRTUSIATU E SODDI NENTI”
È di nuovo febbre dell’oro. Ma stavolta è nero e lo scenario è il Canale di Sicilia. A riaprire la corsa è il Piano Energetico redatto dal Ministro per Sviluppo Economico, Corrado Passera, che intende portare la produzione di petrolio, che attualmente copre solo il 10% del fabbisogno nazionale, alla copertura del 20% della domanda.
Una strategia che chiude le porte alle energie alternative e le spalanca ai signori del petrolio con un susseguirsi di richieste, concessioni e permessi per esplorare e bucare altro fondale marino; un decreto che fa ripartire tutti i procedimenti per la ricerca e l’estrazione di petrolio che erano stati bloccati nel 2010 dopo l’incidente a una piattaforma che ha devastato il Golfo del Messico.
Il programma piace molto alle grandi società d’estrazione perché contiene la proposta di abolizione del limite di 12 miglia dalla costa entro il quale non si possono impiantare trivelle.
Ma a cantare vittoria sono per lo più le società petrolifere estere, le quali definiscono l’Italia “il miglior Paese in cui avviare l’attività di estrazione”. Il motivo di tanto entusiasmo è il regime fiscale a totale svantaggio dello Stato, che prevede royalties per l’estrazione di idrocarburi in territorio italiano del 4% per il petrolio e del 7% per il gas a fronte di una media mondiale dei quasi l’80%.
Inoltre una franchigia fa sì che i detentori delle concessioni versino la percentuale solo in caso di estrazione di almeno 300 mila barili l’anno. Nessun limite infine, per il rimpatrio degli utili.
Non c’è da stupirsi quindi se delle quarantuno istanze per permessi di ricerca nel territorio italiano attualmente in valutazione, solo tre facciano capo a compagnie italiane (Eni ed Enel).
Ad oggi i permessi di ricerca petrolifera già rilasciati nel mare italiano sono 19, di cui ben 11 nel canale di Sicilia per un totale di 6815 kmq di superficie marina. Oltre ai permessi già rilasciati, pendono sul Canale di Sicilia 18 richieste di permessi di ricerca per oltre 5mila kmq, di cui la metà in corso di valutazione ambientale: è il caso della piattaforma Vega B.
Sul tavolo del Ministro, da fine luglio, anche la richiesta presentata da Edison per realizzare l’impianto di perforazione Vega B all’interno della concessione petrolifera C.C6.EO. Un altro impianto di estrazione dovrebbe quindi sorgere a circa 6 Km a ovest della Vega A, la piattaforma appartenente a Edison per il 60% e ad Eni per il 40%, attualmente attiva a una distanza di12 miglia dalla costa pozzallese. La più grande piattaforma off shore italiana, realizzata nel 1984 e attivata tre anni dopo, produce olio greggio e gas naturale da venti pozzi.
Il suo raddoppio metterebbe in produzione la seconda sacca petrolifera che fa parte della medesima concessione.
E mentre la procedura per la realizzazione della Vega B approda al Ministero dell’Ambiente in attesa di VIA, alcuni dati non sono certamente incoraggianti.
Nonostante il bilancio di 25 anni di attività della Vega A sia di quasi 60 milioni di barili di petrolio prodotti, i profitti dello Stato Italiano rasentano la nullità.
Secondo un calcolo approssimativo la Vega A ha prodotto, dalla sola estrazione di greggio, circa 500 milioni di euro, versando allo Stato neanche 5 milioni.
Nessuna percentuale invece sui gas naturali, che Edison ed Eni hanno “accuratamente” estratto entro franchigia. Mari spirtusiatu e soddi nenti.
Enrica Frasca Caccia