Satiri e giornalisti, da soli contro il potere
Il potere non mi piace. Corrompe, seduce, rovina la gente, le comunità, le economie. Mi piace ancora meno quando chi sta sotto applaude inebetito, come gli italiani che applaudivano alla Mafia pur di togliersi dai piedi Mussolini. E smette definitivamente di piacermi quando una intera classe di intellettuali si nasconde dietro i “lasciamo lo lavorare”, “è ancora presto per fare valutazioni”, “sempre meglio di quello che c’era prima”, “in fin dei conti non c’erano alternative”, “il voto sarebbe stato una follia che ci avrebbe portato al fallimento”.
Vogliono farci credere che le regole economiche sono indiscutibili, e quelle democratiche sono un optional per quando non c’è crisi, che il default è peggio di un regime di nominati, che la migliore scuola possibile è quella privata, che gli unici bravi a gestire gli squali della finanza sono i pescecani delle lobbies, che le regole del gioco possono saltare ma la finanza deve restare in piedi.
C’è chi ci crede, e se la beve, scavando con la sua stessa ignoranza il terreno minato dove i “macellai sociali” ci faranno saltare in aria. Ma c’è chi ha già digerito fin troppe favolette del potere per credere all’ennesima bufala dell”‘uomo forte”, e rifiuta ogni prospettiva messianica e salvifica che passi attraverso la delega al Salvatore di turno. C’è chi vuole sentirsi cittadino tra cittadini, uomo tra gli uomini, lavoratore tra i lavoratori, e non accetta ricatti dalle banche, dai finanzieri, dai ricchi tecnocrati che stanno spremendo l’Europa come un limone.
Cosa fare quando lo schiavista ti ha incatenato alla barca? Meglio affogare liberi o remare da schiavi? Di fronte a questa scelta c’è chi sceglie di mentire a se stesso rassicurare “i mercati”, ma c’è anche chi è pronto ad affondare assieme alla barca per dire la verità. E di fronte al rischio della vita, cosa volete che sia l’uscita dall’Euro, il default, il declassamento dei nostri titoli di stato? Perché abbiamo cosÌ tanta paura della morte inevitabile di un modello economico basato sullo sfruttamento e sulle lotterie della finanza?
E’ per questo che noi satiri, assieme ai giornalisti antimafia, siamo tra i pochi a criticare i Monti, che applaudono i Marchionne, che incassano l’appoggio dei Fassino, che inciuciano coi Fini, che governano coi Berlusconi, che abbracciano i Dell’Utri, che prendono condanne per associazione mafiosa. Non possiamo fare altrimenti, è la nostra natura. Come lo scorpione della favola che punge la rana su cui si appoggia anche a costo di annegare, anche noi stiamo annegando in una editoria dove siamo costretti a pungere senza pietà i partiti, gli inserzionisti, i gruppi editoriali e gli uomini di potere che ci accoglierebbero a braccia aperte coprendoci d’oro. E lo farebbero più che volentieri, se solo smettessimo di cercare sempre il pelo nell’uovo, se solo imparassimo a capire le cose di cui non si può parlare, se solo sapessimo fare inchieste strabiche guardando dappertutto tranne sotto il nostro naso, se solo riuscissimo a smettere di fare “pernacchie e informazione” contro il potere.
L’opinione pubblica è unanime nell’applaudire i cavalli di Caligola nominati senatori, la lotta sociale è imbavagliata e sotto ricatto, perfino chi è d’accordo con te nella sostanza ti critica nella forma perché non è il momento di fare gli schizzinosi spaventando i mercati: chi si mette di traverso oggi è un pazzo, o un satiro, o un giornalista.