Placido Rizzotto
Teoria e prassi di una rivoluzione
Morto ammazzato n. 35 nell’elenco dei sindacalisti, degli animatori e degli organizzatori del movimento contadino; dopo Placido Rizzotto ne sarebbero caduti altri in quella feroce persecuzione contro le sinistre pianificata dal blocco agrario-mafioso protetto dagli apparati di polizia, deliberata “politicamente” dalla DC e dai suoi alleati anche americani.
Lo scoppio della guerra lo portò sui monti della Carnia e avvertì sempre più profondamente l’assurdità della guerra, la sua stessa condizione di burattino caporale e poi di burattino caporal maggiore e, infine, di burattino sergente nelle mani di un dittatore che aveva già perso la guerra ancora prima di cominciarla.
Dopo l’8 settembre ritenne di liberare l’Italia dai fascisti e dai tedeschi. Passò dalla guerra di Mussolini alla guerra di Resistenza, lasciò l’esercito del Duce ed entrò nelle Brigate Garibaldi.
Placido ad un maturo e convinto sentimento antifascista accompagnò una progressiva adesione ai contenuti del marxismo. Se era vero che la storia è storia della lotta tra una classe dominante e una dominata, se è vero che da sempre le classi dominanti erano state battute da quelle dominate allora anche i contadini, i braccianti e i mezzadri di Corleone avrebbero potuto vincere. Corleone divenne la prossima trincea dove Placido avrebbe combattuto, una volta tornato a casa.
Il 25 aprile 1945 lasciò i suoi compagni delle Brigate Garibaldi ed intraprese il lungo viaggio del ritorno verso la campagna per lavorare come prima con suo padre. Intraprese la fondamentale operazione di trasferire ciò che aveva imparato durante la guerra partigiana dal piano della teoria al piano della realtà effettiva.
Spiegò che se con il lavoro si produce ricchezza, in buona sostanza essa è acquisita dal proprietario dei mezzi di produzione cioè, nel caso di Corleone dal proprietario del latifondo. Fece capire, inoltre, che se, oltre al proprietario, c’era anche il gabelloto cui conferire una certa quantità di ricchezza, bisognava lavorare ancora di più, concludendo che era opportuno togliere di mezzo il gabelloto e l’intermediazione parassitaria, assumere direttamente la gestione della terra istituendo cooperative, utilizzando gli strumenti legislativi necessari.
Così aveva cominciato, giusto a Corleone Bernardino Verro e, dopo di lui, Alongi e gli altri per l’applicazione dei decreti Falcioni e Visocchi dopo la prima guerra mondiale, e tutti quelli che già si stavano impegnando a costo anche della vita, per l’applicazione dei decreti Gullo sulla concessione alle cooperative delle terre incolte o mal coltivate e per la divisione 60 a 40 tra proprietario e contadino del prodotto della terra.
A Corleone Placido sentiva soprattutto l’amicizia ed il calore della maggioranza delle persone, di tutta quella gente che lo aveva pure eletto Presidente dell’associazione della Madonna della Rocca. Certo c’erano pure i gabelloti tra questi Luciano Liggio ed il dottor Michele Navarra, il capo della mafia, il barone Cammarata, il cavaliere Paternostro, il commendatore Bentivegna e gli altri latifondisti e, ovviamente, la schiera dei fiancheggiatori, servi ubbidienti senza parola, capaci solo di eseguire ordini, anche i più abietti, come vedremo.
Lo straordinario risultato elettorale per la Costituente fu bissato nelle elezioni del 6 ottobre nell’elezione del Consiglio Comunale e completato il 20 aprile del 1947 nelle elezioni della prima Assemblea regionale. ciò dette impulso ad un’impetuosa ripresa delle occupazioni dei latifondi che il blocco agrario-mafioso non intendeva assolutamente concedere alle cooperative.
La determinazione di Placido Rizzotto nella lotta per la terra scardinava alla radice quella che si riteneva quasi una legge di natura: i ricchi sopra e i poveri sotto, i potenti a comandare e i deboli ad ubbidire, i mafiosi a sfruttare e i contadini ad essere sfruttati.
Allora cominciarono gli avvertimenti più ultimativi, i consigli più perentori: non ci voleva molto a capire che la situazione stava progressivamente precipitando e che il vuoto intorno a Placido stava inesorabilmente crescendo.
La sera del 10 marzo Placido Rizzotto fu portato fuori dal paese per un “ragionamento”, durante il tragitto vide materializzarsi quel vuoto, quell’isolamento che nelle ultime settimane si era creato intorno alla sua lotta per la terra e la giustizia. La strada era deserta, le finestre chiuse e Placido all’improvviso si sentì solo, si svincolò dalla presa e per un attimo non sentì la pistola pressata sul fianco. Tentò la fuga, ma fu subito bloccato da altri complici, urlò, fu coperto, immobilizzato e buttato dentro un’automobile.
Criscione, Collura, Liggio ed altri lo avrebbero portato con una macchina in contrada Malvello e lì lo uccisero, dopo atroci torture. Solo successivamente il corpo sarebbe stato buttato nella foiba a Rocca Busambra, in contrada Casale.
I familiari di Placido riconobbero i reperti mostrati loro e ciò determinò la denuncia per Criscione, Collura e Liggio latitante di sequestro ed assassinio di Placido Rizzotto.
Il 3 dicembre 1952 in Corte d’Assise a Palermo i tre furono assolti per insufficienza di prove, la sentenza fu confermata in Appello l’11 luglio 1959 ed in Cassazione il 28 maggio 1961.
Soltanto qualche mese fa è stato possibile celebrare i funerali di Placido Rizzotto e vale la pena ricordare che il nipote ha chiesto di riscrivere la storia di questa terra, di farla conoscere. Questo articolo è un piccolo contributo.