Come ti sfrutto il pubblicista
L’iscrizione all’albo pubblicisti spesso costringe l’aspirante giornalista ai soprusi di editori senza scrupoli. Tante testate dichiarano il falso, fingendo di pagare gli articoli, altre fanno addirittura sborsare agli aspiranti pubblicisti le ritenute d’acconto
È il sogno nel cassetto di tanti giovani: curiosare, chiedere, capire il più possibile per poi raccontare agli altri ciò che si è compreso. Quella del giornalista è una professione cui molti aspirano. Ma come lo si diventa?
La legge n. 69/1963, istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, prevede l’iscrizione in appositi Albi. I giornalisti vengono suddivisi in due elenchi: professionisti e pubblicisti e quest’ultima rappresenterebbe in teoria la strada più semplice.
Ma chi è il “pubblicista” e in cosa si differenzia dal “professionista”?
«Sono pubblicisti – dice la legge 69 – coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi».
Molto spesso però, questo desiderio si tramuta in sfruttamento da parte delle testate, illudendo chi scrive con la storiella dell’iscrizione all’Albo dei pubblicisti, essendo oggi abbastanza difficile trovare in Italia una testata che retribuisca un ragazzo senza esperienza per una collaborazione.
Succede così che l’aspirante pubblicista risponda ad offerte di collaborazioni a titolo gratuito, con testate telematiche e/o cartacee, per l’attribuzione del tesserino”, un controsenso, considerato che documentare l’avvenuta retribuzione per il lavoro giornalistico svolto, costituisce requisito indispensabile per conseguirlo.
Sono così frequenti i casi in cui l’aspirante lavora gratuitamente e si paga di tasca propria i contributi, falsificando la documentazione fiscale pur di dimostrare una collaborazione retribuita con una testata.
Ma ci sono in giro anche millantatori e strani personaggi che cercano di attrarre giovani aspiranti giornalisti, promettendo loro l’iscrizione all’albo in cambio di denaro, dietro la partecipazione a fantomatici corsi non riconosciuti dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione della Stampa.
Basta googlare un po’ per leggere centinaia di testimonianze. Nel 2010 è stata anche pubblicata un’inchiesta sul fenomeno dello sfruttamento degli aspiranti pubblicisti sulla testata online Repubblica degli stagisti, che ha raccolto le testimonianze di due giovani costretti a falsificare le ricevute fiscali pur di ottenere il tesserino “rosso”.
«La mia storia non è molto diversa da quella di tanti altri», racconta “Carlo” (un nome di fantasia attribuito dalla redazione).
«Pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge. Retribuzione certificata da parte dell’editore, dichiarando il falso».
«Ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online – aggiunge Franca (altro nome di fantasia, altro racconto di vita reale) – . Il direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente».
Maria Ausilia Boemi, segretaria provinciale di Assostampa Catania, nella relazione annuale 2012 parla di «aspiranti pubblicisti – quindi non ancora in possesso del tesserino – che leggono i telegiornali, colleghi o aspiranti tali che non vengono pagati e che firmano buste paga false. E ci sono anche aspiranti colleghi che si pagano da soli le ritenute d’acconto per potere poi conquistare il tesserino (questo peraltro, non avviene solo nelle televisioni)».
Franco Zanghì, giornalista di Patti nel messinese, raccontando il mese scorso sul suo TG6 una confusa – per le contraddittorie dichiarazione dei protagonisti – storia di «vertenze di natura economica» tra il rappresentante del comitato di redazione di una piccola testata locale online e il suo editore/direttore responsabile ha commentato: «Del fatto abbiamo ritenuto doveroso chiedere un parere all’Ordine dei Giornalisti della Sicilia […]. Ma purtroppo molti editori – anche di grandi giornali – sfruttano giovani e meno giovani aspiranti giornalisti con miraggio del “Tesserino da Giornalista”».
“Comprare” il tesserino pur essendo diventata una cosa “normale”, è illegale e prevede serie conseguenze per chi falsifica i documenti fiscali necessari all’iscrizione all’albo dei pubblicisti.
Secondo l’avvocato Gianfranco Garancini, esperto di diritto giornalistico, infatti: «Un atto del genere costituisce truffa e falso ideologico a un ente pubblico, ai sensi degli articoli 640 e seguenti e 479 e seguenti del codice penale».
Le testate, usufruendo di un vantaggio economico diretto dallo sfruttamento dei collaboratori, commettono un complesso di reati che può spaziare dalla truffa all’evasione fiscale.
Ma anche gli aspiranti giornalisti sono «correi» e, in quanto tali, teoricamente andrebbero incontro a pene di tipo economico e detentivo, anche se in pratica è difficile si finisca in galera per reati del genere, ma si può comunque arrivare a sanzioni pecuniarie molto elevate.
Ovviamente la domanda di iscrizione all’albo dei pubblicisti è destinata ad essere respinta mandando in fumo due anni di lavoro non retribuito.
Il reato di truffa è perseguibile dietro querela di parte. Gli Ordini, in quanto pubblici ufficiali, avrebbero l’obbligo di fare esposto in tal senso.
È difficile, però, trovare le prove concrete di questo fenomeno, salvo nei rarissimi casi in cui vi sia una denuncia specifica.
Impossibile, di fatto, un’azione preventiva perché gli stessi Ordini non conoscono la situazione degli aspiranti fino al momento della presentazione della domanda.
Gli unici controlli vengono effettuati solo sulla documentazione fiscale e sul piano teorico è possibile costruire una documentazione fittizia per una iscrizione all’albo dei pubblicisti.
Vittorio Roidi, sostenendo nel suo libro Cattive notizie che «Come tutte le cose che invecchiano (l’Odg) non va buttato, ma sostituito con un organismo moderno» ne auspicava una profonda riforma. Con il dpr di riforma delle professioni il governo Monti ci aveva pure provato ma in pratica non è cambiato nulla.
Nella maggior parte dei Paesi europei non esiste un Ordine dei Giornalisti. Ad esempio, in Gran Bretagna non è mai stato istituito alcun organismo di natura pubblica in rappresentanza dei giornalisti, e la formazione universitaria specifica non è richiesta per l’esercizio della professione. Così come in Irlanda, Germania, Austria, Norvegia, Olanda, Grecia, Svezia, Francia e Finlandia. Per essere considerati giornalisti è necessario, semplicemente, essere assunti e scrivere per una testata.
Storie, queste e tante altre ancora sconosciute, che evidenziano come il vero problema per un giovane che vorrebbe avvicinarsi al giornalismo, l’attività teoricamente “retribuita” in pratica si traduce in sfruttamento intellettuale, alimentato dal miraggio del raggiungimento dell’agognato tesserino che comunque non rappresenta una certificazione di qualità, né un riconoscimento di tipo meritocratico.
C’è spesso ignoranza e presunzione fra coloro che per grazia ricevuta e immeritatamente hanno ottenuto l’iscrizione all’Albo dei pubblicisti e non conoscono, né rispettano l’etica professionale.
Per diventare pubblicisti: i requisiti
In Sicilia tra spese di segreteria, costi per marche da bollo, tasse per concessione governativa e altri pagamenti si arriva a sborsare 582,62 euro per presentare le domande di iscrizione all’albo dei pubblicisti.
Il calcolo si basa su quanto riportato nella modulistica ufficiale e nelle istruzioni reperibili nel sito dell’Ordine.
Per dimostrare la non occasionalità della collaborazione vengono richiesti almeno 90 articoli scritti e pubblicati nell’arco dell’ultimo biennio, se questi vengono pubblicati su quotidiani (60 su periodici), emittenti televisive, radiofoniche o siti internet regolarmente registrati presso la cancelleria del Tribunale competente come testate giornalistiche, dovranno presentare almeno 90 servizi o articoli effettivamente andati in onda o pubblicati on line. Una retribuzione minima nel biennio di non meno di1000 euro da attestare con modelli F24 rilasciati al massimo per ogni anno di attività e non cumulativi.