Mafia Spa: puzza di droga la nuova economia
Uno schema logico che profeticamente era già stato individuato da Giovanni Falcone. Nel novembre 1990, in una conferenza tenutasi presso il Bundeskriminalamt di Wiesbaden (RFT) segnalava come l’apertura delle frontiere all’interno della Comunità Europea avrebbe necessariamente favorito l’espansione della mafia e della criminalità organizzata con i sistemi mafiosi.
Da quel momento in poi, infatti, il sistema economico è stato profondamente deregolarizzato, seguendo le regole della globalizzazione economica, basata su consumismo, operazioni finanziarie spregiudicate e privatizzazione. Ed è su questo sistema che le mafie transnazionali hanno tratto una crescita esponenziale del proprio guadagno. E con la crisi economica le possibilità si sono allargate ulteriormente.
Le mafie, di fatto, sono le uniche “imprese” ad avere enormi disponibilità di denaro (proventi dei traffici illeciti ndr) da poter investire in ogni settore.
Nella seconda metà del 2008, quando le banche si trovavano ad affrontare pesanti problematiche di liquidità, le organizzazioni criminali mondiali, da sempre dedite al riciclaggio di denaro, sono entrate in maniera più preponderante nel mondo della finanza passando dalla porta principale grazie alla fornitura di un enorme flusso di capitali. E se questo “quadro” era già concreto e reale ancor prima del crack Lehman, che ha dato il via alla crisi economica globale, a maggior ragione oggi, che ci troviamo in una situazione peggiore, è evidente come le banche del mondo vengono attratte dal denaro facile del crimine.
La casistica è davvero vasta. Si può pensare alla Wachovia Bank, che ha letteralmente “chiuso più di un occhio” sulle transazioni di denaro legate alla guerra della droga in Messico. O ancora di HSBC, che ha fatto fronte a 700 milioni di dollari in sanzioni per aver favorito il riciclaggio di denaro di signori della droga messicani, terroristi internazionali e banche iraniane (sottoposte a embargo).
Secondo le stime delle Nazioni Unite, il riciclaggio di denaro sporco nel 2009 ammonterebbe ad un volume di 1600 miliardi di dollari, di cui oltre un terzo risalirebbe a forme di crimine organizzato.
Nel febbraio 2012, in una recente seduta del congresso USA sul crimine organizzato, il capo della Sezione Riciclaggio del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, Jennifer Shasky Calvery ha ricordato come: “Le banche negli Stati Uniti sono usate per accogliere grandi quantità di capitali illeciti occultati nei miliardi di dollari che vengono trasferiti tra banca e banca ogni giorno”.
Un esempio di certe operazioni finanziare viene fornito da una recente inchiesta di due economisti colombiani, Alejandro Gaviria e Daniel Mejiia dell’Università di Bogotà: il 97,4% degli introiti provenienti dal narcotraffico in Colombia viene puntualmente riciclato da circuiti bancari di Usa ed Europa. E non è una cifra da poco: si parla di 352 miliardi di dollari.
Ma se per le banche il vantaggio è prettamente commerciale, per la criminalità è doppio. Da una parte la connivenza del sistema bancario permette alle mafie di ripulire i propri guadagni illeciti, dall’altra la crisi offre grandissime occasioni per aumentare il bacino dei propri affari, specie nel campo dell’usura o del mercato nero.
Secondo lo scrittore e giornalista venezuelano Moisés Naím: “Fino a pochi anni fa le mafie avevano molta influenza su alcuni personaggi all’interno dei governi, ora sono i governi stessi a prendere il controllo delle reti illegali internazionali”.
Secondo Naìm esempi concreti a riguardo “vengono dati dall’ex giudice supremo Eladio Aponte, che in Venezuela sta fornendo prove che dirigenti governativi di primo piano sono anche i capi di importanti bande criminali internazionali. Per non parlare dell’Afghanistan, dove il fratello del presidente, il governatore di Kandahar Ahmed Wali Karzai, assassinato nel 2011, era stato ripetutamente accusato di essere coinvolto nel traffico d’oppio, la principale attività economica del Paese”.
Ovviamente neanche l’Italia è immune dall’incidenza delle criminalità organizzate. Secondo l’ultimo rapporto di Sos Impresa “Mafia spa” fattura oltre 100 miliardi di euro all’anno, il 7% del Pil.
Secondo l’associazione “Le imprese italiane subiscono 1.300 reati al giorno, 50 all’ora, un reato al minuto ed è sempre più difficile distinguere tra economia legale e non”. Il motivo? “Le imprese (e non solo) sono attratte da capitali mafiosi e quindi possono diventare complici.
Proprio grazie alla connivenza con il mondo politico e amministrativo e di professionisti compiacenti le mafie si sono insediate nel Centro e Nord Italia. Controllano la quasi totalità del mercato del gioco d’azzardo, anche lecito, dello smaltimento dei rifiuti, specialmente quelli tossici e nocivi, del ciclo delle costruzioni fino ad arrivare a nuovi settori”.
Grazie alla liquidità di cui dispongono, senza il bisogno di accedere al regolare credito bancario (anche se non sono da escludere aiuti da banche “amiche” ndr), le mafie non risentono della crisi ed anzi la sfruttano aprendo nuove strade.
Non è improbabile che imprenditori onesti ma in difficoltà, a cui le banche hanno chiuso i rubinetti del credito, possano rivolgersi alla criminalità organizzata per sopravvivere, tanto che il racket dell’usura legato alle cosche, già oggi sufficientemente diffuso, potrebbe divenire la nuova fonte di liquidità per gli imprenditori. E ciò ovviamente distruggerebbe ancora di più la nostra economia.
A rendere ancor più grave la situazione nel nostro Paese è poi il meccanismo di integrazione che si è avviato non solo tra le varie mafie (Cosa nostra, ‘Ndrangheta e Camorra) ma anche con il sistema criminale della corruzione politica.
“Con il sistema di corruzione così diffuso in tutto il Pese è stato introdotto un nuovo modo per convivere con la mafia – ha ricordato ancora una volta il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia al Festival della Legalità – La battaglia in questo modo diventa più difficile perché si tratta di sconfiggere la corruzione che con la mafia è una faccia della stessa medaglia. Speriamo che il Parlamento nazionale riesca ad approvare subito la legge anticorruzione”.
Un appello lanciato anche dal fondatore di Libera don Ciotti: “Nessuno sconto, nessuna mediazione è possibile nella lotta alla corruzione, così come nella lotta al riciclaggio e alle mafie. La convenzione di Strasburgo parla chiaro: la corruzione deve essere sradicata. Quindi il Ddl sulla corruzione in discussione al Parlamento non deve essere svuotato da mediazioni che ne mortificano i contenuti. Deve diventare il trampolino di lancio di una vera lotta alla corruzione che ogni anno si mangia ben più di quel 3% del Pil italiano, cioè di quei 60 miliardi di Euro denunciati dalla Corte dei Conti”.
Anche il resto d’Europa non è immune alla presenza delle mafie. Spagna e Grecia sono divenuti i nuovi “Stati porta” per le rotte della cocaina in Europa tanto che la “capitale” della Catalogna, Barcellona, viene definita come “la nuova Marsiglia”. E’ li che ‘ndranghetisti, narcos colombiani e messicani si incontrano per quella che ormai è una joint-venture della cocaina con ricavi da capogiro (mille euro per ogni euro investito nel sistema produttivo ndr).
Proprio la ‘Ndrangheta, sostituendosi a Cosa nostra come broker internazionale dei traffici di droga, rappresenta uno dei massimi esempi di nuova “holding criminale”. Un’organizzazione talmente potente da gestire direttamente l’importazione della cocaina verso l’Europa , utilizzando rotte sempre più sicure che coinvolgono America, Africa ed Europa, grazie ai rapporti con le mafie di numerosi paesi. Non è un caso che la ‘Ndrangheta sia inserita nella black list delle organizzazioni terroristiche dal governo degli Stati Uniti.
Traffici internazionali di droga dimostrati, passando dal Sudamerica alla Grecia, anche da un’indagine dall’antimafia milanese nel 2011, che portò all’arresto di 11 persone, al sequestro di 117 chili di cocaina, 48 di hashish. Non solo. Secondo altri dati nel Paese ellenico, venendo a mancare i canali di prestito ufficiali a causa della crisi, sempre più persone ricorrono ai prestiti illegali, rivolgendosi agli strozzini. Un mercato nero di prestiti illegali che produrrebbe un giro d’affari di circa 5 miliardi di euro all’anno. Un’attività che pare sia quadruplicata dall’inizio della crisi nel 2009.
Non si può poi dimenticare la Germania. Sono passati poco più di cinque anni, da quando il 15 agosto 2007 a Duisburg , sei persone vennero trovate assassinate davanti al ristorante “da Bruno”. Era l’ultimo atto della “faida di San Luca”, tra i clan di ‘Ndrangheta Nirta-Strangio e Pelle Vottari, iniziata nel 1991.
Le indagini di questi anni hanno dimostrato il radicamento delle organizzazioni criminali italiane nella Bundesrepublik. Nel 2009 il Bundeskriminalamt, la polizia criminale tedesca, ha dichiarato che esistevano in Germania 230 n’drine con 1800 affiliati.
Un dato importante, e indicativo di come lo Stato tedesco oggi sia divenuto punto nevralgico di contatto e di “intelligence” tra le varie mafie internazionali in Europa. Ad attirare i criminali più che la posizione centrale all’interno del continente Europeo sono le stesse leggi tedesche, troppo deboli e inefficaci e i metodi d’indagine limitati in materia di organizzazione criminale.
Nella Repubblica Federale, come in tutti paesi Ue eccetto l’Italia, non è riconosciuto infatti il reato di associazione mafiosa né sono previste norme sul carcere duro per i mafiosi.
Come se non bastasse, le leggi sul riciclaggio sono più blande rispetto al nostro Paese (secondo un’indagine Ocse sul tema, in Germania nel 2011 sono stati “recuperati” 170 milioni di euro contro 1,3 miliardi dell’Italia), dato che per questo reato è prevista l’”inversione dell’onere della prova”, ovvero chi fa un investimento non è obbligato a provare che i soldi provengano da una fonte pulita. A ciò si aggiungono i limiti d’indagine per gli inquirenti con l’impossibilità di effettuare intercettazioni in luoghi pubblici o appartamenti privati.
Mettendo insieme tutti questi dati si evince come i capitali mafiosi stanno traendo profitto dalla crisi economica europea e, più in generale, dalla crisi economica dell’Occidente, per infiltrare in maniera capillare l’economia legale. Eppure tali capitali non sono solo l’effetto della crisi globale, ma anche e soprattutto la causa, perché presenti nei flussi economici sin dalle origini di questa crisi. Nel dicembre 2009, il responsabile dell’Ufficio Droga e Crimine dell’Onu, Antonio Maria Costa, rivelò di avere le prove che i guadagni delle organizzazioni criminali fossero l’unico capitale d’investimento liquido che alcune banche avevano avuto a disposizione durante la crisi del 2008 proprio per evitare il collasso.
Una soluzione ad una problematica così globale è chiaro che non può essere trovata solo dall’inasprimento delle leggi di un singolo Paese ma deve essere affrontato in una maniera globale così come ha sempre chiesto Giovanni Falcone.
“Persiste dunque la necessità di un corrispondente adeguamento della legislazione internazionale e della realizzazione di una costante ed efficace collaborazione internazionale – diceva nel 1990 – Ciò significa soprattutto l’abolizione dei cosiddetti paradisi fiscali, che fino ad oggi hanno reso vani i tentativi, anche i più decisi, di alcuni Paesi per identificare i flussi di denaro provenienti da attività illecite. Questa è una lotta in cui si devono sentire impegnati tutti i componenti della comunità internazionale, perché dall’esito di questa lotta dipende se la criminalità organizzata potrà essere distrutta o almeno ridimensionata entro limiti in cui non rappresenti più una seria minaccia per la società”. Ed è in questa direzione che cerca di muoversi la nuova commissione antimafia europea che ha come presidente l’europarlamentare italiana Sonia Alfano.
“Di recente, la ’Ndrangheta ha riciclato 28 milioni di euro in poche ore, acquistando un intero quartiere in Belgio” – ha raccontato la presidente del Crim.
“Il parlamento europeo – ha continuato – vuole conoscere il modello Italia di lotta alla mafia, che tanti risultati ha dato sul fronte del contrasto all’ala militare delle organizzazioni criminali e per questo dopo aver visitato la Serbia sarà presto in Italia a Palermo, Roma e Milano per ascoltare non solo magistrati e investigatori, ma anche rappresentanti del sistema bancario e del mondo imprenditoriale. Ma le audizioni sono mirate anche a capire perché l’Italia sia in ritardo sulla legislazione riguardante il riciclaggio e la corruzione. Ad esempio, continua a non essere previsto il reato di autoriciclaggio”.
Tra gli obiettivi fissati dalla Alfano anche quello “di predisporre un piano di contrasto a livello europeo, con la previsione di un testo unico antimafia, che permetta in tutti i paesi dell’Unione Europea di punire la partecipazione ad organizzazioni mafiose, di aggredire i patrimoni criminali e di contrastare efficacemente i fenomeni corruttivi e il riciclaggio di denaro, compreso quello attraverso il sistema finanziario”. Riforme importanti quanto necessarie.
Non a caso Antonio Ingroia ha detto sì al lavoro in Guatemala dove le Nazioni Unite gli hanno chiesto di dirigere una Commissione internazionale contro l’impunità.
Il procuratore aggiunto, spiegando le proprie motivazioni, ha ribadito: “è fondamentale potenziare l’azione di contrasto su scala transnazionale. L’Italia, che suo malgrado ha esportato la mafia, ora deve portare all’estero anche l’antimafia sotto il profilo organizzativo e strategico. In Guatemala la Commissione contro l’impunità in Guatemala ha diverse funzioni: la prima è legislativa, con supporto di conoscenza per nuove leggi, l’altra è giudiziaria poiché a causa della grande corruzione in quel paese vi sono poche condanne e molte assoluzioni”.
“In questo quadro – ha aggiunto Ingroia – avendo io partecipato (per attività di investigazione e convegnistica) a numerosi incontri in Guatemala mi è stato offerto, dal capo di questo organismo che poi è l’ex governatore generale del Costa Rica, l’incarico di guidare l’unità di investigazione. con me collaborano una quarantina tra magistrati e poliziotti provenienti da tutto il mondo. Per me è una sfida affascinante. Vent’anni fa Giovanni Falcone per primo capì che bisognava rilanciare la sfida sul piano nazionale. Io credo che sia arrivato il momento di puntare al livello internazionale con un’azione che va pensata, coordinata e attuata. Bisogna contare su organismi stabili in cui ci si incontra e ci si confronta. Tanto in America quanto nell’Est, europeo e asiatico”.
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