“La ripresa è vicina”
«E’ grave questa crisi, non credo che ne usciremo facilmente».
«Sei sempre pessimista. E’ un momento duro, ma ci risolleveremo, risorgeremo, come sempre.».
«Sei tu che pecchi di ottimismo. Questa volta è differente. Non passa giorno che non chiudano attività, proprio oggi ha chiuso il forno davanti al teatro. Erano tre generazioni che non si spegneva mai, giorno e notte, estate e inverno, ma oggi si sono fermati e hanno chiuso, per sempre.».
«Mi dispiace. Proprio stamattina sono capitato lì davanti e, vedendoli fermi, ho pensato che avessero chiuso per lutto, o per altra ragione, ma solo temporaneamente. Ma perché? Perché hanno cessato l’attività?».
«E me lo chiedi? Non girano soldi per la crisi, e i debiti. Poi la settimana scorsa è passato l’esattore per riscuotere le imposte arretrate, ed è stato il colpo di grazia.».
«E ora cosa faranno?».
«Non saprei. Sentivo dire che hanno dei lontani parenti, che pare abbiano fatto fortuna. Andranno da loro…».
«Che la Fortuna li accompagni. Ma non è certo il primo forno che cessa di vivere…».
«No, certamente, ma ogni giorno sempre più campi vengono abbandonati, incolti, e vecchie e gloriose officine smettono per sempre.».
«Lo so bene, i giovani mal tollerano il duro lavoro e preferiscono muovere verso le città, ricercando fortuna e ricchezza.».
«Sei cieco se pensi questo, se pensi che sia solo fuggire dalla fatica. Che senso ha spezzarsi la schiena se poi i nostri mercati sono invasi da ciò che viene da lontano ad un prezzo che sovente è la metà, se non meno, dei nostri?».
«Non posso negarlo, è arduo per i nostri artigiani o i nostri contadini far fronte a ciò che viene prodotto da migliaia di servi e schiavi che devono accontentarsi di un tozzo di pane e di uno spicchio d’aglio.».
«E’ come dici, e i ricchi, di conseguenza, diventano sempre più ricchi. Trasferiscono ricchezze al di là del mare, con esse comprano regioni intere e opifici, e uomini e donne che, anche se non servi, sono grati di lavorare sino a notte per quel pane che faccia sopravvivere loro e i loro figli. Con quelle ricchezze che lì accumulano, i ricchi qui tornano, e comprano per un nulla quelle terre che i nostri contadini abbandonano. E i poveri, quindi, sono sempre più poveri, privati dei campi e delle botteghe, si rifugiano nelle città dove sperano di sopravvivere raccogliendo le briciole che cadono dalle mense dei ricchi. Tutto ciò si accompagna alla corruzione di coloro che dovrebbero servire lo stato e alla degenerazione dei costumi: si narra che i ricchi o i loro figli organizzino festini spendendo denari che basterebbero a sfamare intere famiglie per un anno. Come stupirsi che proliferino superstizioni di ogni sorta e che, da ogni angolo, sorgano fanatici di religione e invasati?».
«Dipingi un quadro ben fosco, Gneo Sertorio, ma ammetto che non sia tutto d’invenzione. Altre volte, però, abbiamo attraversato momenti bui. I Patres ci raccontano dei Galli, di Annibale, delle guerre civili, delle proscrizioni. Eppure sempre ci siamo risollevati, e ogni volta siamo ritornati più potenti di prima. Accadrà lo stesso anche stavolta, vedrai, il nostro sistema è forte, non potrà mai cadere, la ripresa è ormai vicina.»