Nei campi di Don Diana un’estate differente
Campi deserti, baracche desolate in mezzo a terre incolte, un’afa insostenibile e un tanfo di sterco animale. Appena uscito dalla minuscola stazioncina di uno sperduto paese della provincia di Caserta pensi subito ”Se il buongiorno si vede dal mattino siamo messi bene! Ma dove diavolo sono finito?!”.
Siamo arrivati nelle “famose” terre dei Casalesi. In particolare nel paese di Sessa Aurunca dove da anni operano gli Esposito e i Di Lorenzo affiliati al clan degli Schiavone, degli Zagaria, degli Iovine, che controllano il territorio della provincia di Caserta.
Un’atmosfera surreale. A Casal di Principe, Mondragone, Sessa Aurunca, Castelvolturno si notano immediatamente vere e proprie mura a ridosso di ciascuna abitazione in modo da non essere troppo esposte alle strade principali.
Per gli abitanti della zona è abituale vedere aggirarsi intere pattuglie di poliziotti e carabinieri con auto blindate, armati fino al collo e con giubbotti antiproiettile.
La carovana di quaranta volontari che attraversa i vicoli di Casal di Principe dà subito nell’occhio; gli abitanti si affacciano alle finestre, escono dai bar dove un attimo prima stavano sorseggiando una tazza di caffè leggendo una copia del “ Mattino” e guardandosi tra loro si chiedono :”Ma chist’ che stann’ facend’??”.
Se ti azzardi a chiedere dove si trovi la casa di Francesco Schiavone (detto Sandokan per la somiglianza con Kabir Bedi, capo assoluto del clan dei Casalesi) cala un silenzio imbarazzante. ”Accattate na valigia – pensano rientrando nei bar – e cazzi tuoi!”.
Gli abitanti di questi paesi sanno benissimo che qui gli omicidi ogni anno sfiorano le duecento vittime, che il giro di affari illeciti (traffico di droga, imprese e appalti pubblici, traffico d’armi, prostituzione e usura) tra Napoli e Caserta si aggira intorno ai dodici miliardi e mezzo di euro l’anno. Ma molti preferirebbero non saperlo.
Sarebbe tuttavia riduttivo continuare a parlare della parte malata (molto ampia), e irrispettoso nei confronti dei tanti cittadini che ogni giorno si battono per ridare speranza a questi territori. Basti pensare che questa stessa provincia di Caserta in Italia ha il primato dei beni confiscati alle mafie.
Vivendo per una settimana in uno di questi beni confiscati alla camorra (nel mio caso alla famiglia Moccia, affiliati dei Casalesi) si può comprendere quanto la legge 109 del ’96 – nata da un referendum di un milione di firme e proposta da Libera di don Ciotti – abbia intaccato gli equilibri su cui si fondava il potere dei clan. “La precedenza sull’utilizzo del bene confiscato – dice la legge – sarà data ad associazioni o cooperative con finalità sociali”.
Coop “Al di là dei sogni”
E’ il caso della cooperativa sociale “Al di là dei sogni”, in cui ho vissuto questa intensa settimana. Non ci troviamo più nelle terre della camorra, ma nelle terre di don Peppe Diana.
Qual è stato il significato di questa esperienza di lavoro? Intanto, per il fatto di provenire da realtà territoriali e sociali diverse, si diviene subito consapevoli di partecipare alla rinascita civile e sociale di questa terre. In più, nella cooperativa i soci – molti dei quali disabili: sordomuti, neurolabili… – condividono con te tutte le esperienze della vita quotidiana.
Per esempio lavorando insieme sotto il sole cocente della Campania per cinque ore consecutive, o facendoti fare un sacco di risate nei momenti di riposo.
E se arrivi l’ultimo giorno a non volerli più lasciare, allora vuol dire che lo scambio di emozioni è stato incommensurabile. Hai avuto l’occasione di vivere con le persone che dedicano la propria vita a questi ragazzi e che si sono prese la dura responsabilità di gestire a piano regime un bene confiscato alla camorra. Quando torni nella tua città dentro di te pensi: “il prossimo anno devo tornarci assolutamente e con me porterò gli amici che non erano a conoscenza di questa fantastica esperienza!”.
Un paese migliore
C’è una cosa che mi ricorderò sempre: quando ci dicevano “a fine giornata puzzerete un po’ di merda ma tra qualche mese il tanfo che vi rimarrà sui vestiti sarà sostituito dal sapore genuino dei nostri – vostri prodotti!”.
La lotta per ridare speranza ai territori dominati dalla mafia non è ristretta ad una cerchia di persone “che combattono una battaglia persa in partenza, tanto non ci si può fare niente” (come dicono tanti nella mia città e non solo) ma comprende anche i tanti che sono pronti ad urlare la propria voglia di un paese migliore.
Ripercorrendo con la memoria gli ultimi tre giorni della settimana, abbiamo visitato i principali paesi della provincia di Caserta per assistere al Festival dell’Impegno Civile, organizzato dall’associazione “Nelle terre di Don Peppe Diana” in collaborazione con associazioni diverse tra cui tutti i presìdi di Libera della Campania nei beni confiscati alla camorra.
“Senza di voi non ce l’avremmo fatta”
Le parole di Simmaco Perillo, responsabile della cooperativa “Al di là dei Sogni” di Sessa Aurunca, sono rimaste in testa a noi tutti: “Il Festival è nato per tentare di riportare alla luce i beni confiscati. Per dire a tutto il territorio campano che i beni sono un’opportunità e possono diventare nuovamente beni pubblici. Grazie a tutti quelli che siete venuti al Festival perché senza di voi non avremmo potuto organizzare tutto questo, ma permettetemi di ringraziare tutti i soci delle cooperative presenti sul nostro territorio che ci aiutano quotidianamente per ridare vita e speranza a questa terra”.
SCHEDA – “Rete di economia sociale”: cos’è e a cosa serve
In questi anni le associazioni di volontariato stanno lavorando a un nuovo modello di economia sociale. La sigla NCO adesso non deve indicare più la “Nuova Camorra Organizzata” (quella fondata da Raffaele Cutolo agli inizi degli anni ’80) ma il “Nuovo Commercio Organizzato” (il ristorante gestito da una cooperativa antimafia in Campania).
Il 21 marzo, giornata della memoria, è stato presentato così il progetto RES (Rete di economia sociale) che, insieme alla fondazione “Con il Sud”, vuol promuovere, ragionando in rete, pratiche di economia sociale coi beni confiscati alla camorra, in particolare nel commercio agroalimentare, nel turismo sostenibile e nella comunicazione sociale.
Ogni mattone posizionato, ogni terreno concimato, ogni pianta innaffiata sono un piccolo passo per il raggiungimento di un obiettivo che qui, in queste terre, hanno in tanti: liberarsi per sempre dal dominio e dalla subcultura mafiosa.