venerdì, Novembre 22, 2024
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Sotto la Corte la mafia campa

Qui Lombardia, anni duemila. Pare di stare nella Sicilia, anni ottanta del secolo scorso. Vi ricordate quando la Corte di Cassazione era nelle mani di chi sosteneva che Falcone fosse “una faccia di caciocavallo”? Era costui il giudice Corrado Carnevale, che non per niente presiedeva la prima sezione della Suprema Corte. Per la “sua” sezione dovevano passare, senza scampo, tutti i processi di mafia e di camorra. Alla faccia del principio del giudice “naturale”, i mafiosi sapevano di avere invece un giudice “precostituito”, il “loro” giudice, quello cioè che comunque avrebbe sempre deciso, alla fine, delle loro sorti. E Carnevale decideva “bene”, almeno dal loro punto di vista.

Lo chiamarono l‘ “ammazzasentenze” perché questo era l’unico epiteto che gli si poteva dedicare senza finire a giudizio per diffamazione o per calunnia. Qualcuno calcolò che avesse annullato circa cinquecento sentenze. Per questo Cosa Nostra confidava di uscire alla grande anche dalla vicenda del maxiprocesso. Fu infilata in contropiede all’ultimo: la coppia Martelli (ministro della Giustizia) e Falcone (direttore generale degli Affari penali) riuscì a battere il principio del giudice precostituito, e a giudicare furono le sezioni riunite e non la prima sezione da sola.

Una premessa lunga per dire che qualcosa del genere rischia di verificarsi oggi con la Lombardia oggi. Qui la magistratura sta smantellando o provando a smantellare un sistema di potere criminale che ha la ‘ndrangheta al centro. E a furia di arresti ha svegliato dai suoi sonni e dalle sue accidie almeno un pezzo della società civile.

Inchieste serie, dunque. E processi seri, chiusi da condanne. Zeppi nei dibattimenti di “non so”, “non ricordo”, “ma io non sapevo”, “davvero mi hanno sparato sull’auto?”, “ma no, sono signori gentilissimi”, “sinceramente non ricordo”. Omertà di imprenditori e commercianti. Un autentico strazio civile. Facce piene di paure, di terrore, la classica situazione di “assoggettamento” che associata alla conquista di ingiusti vantaggi negli affari configura con chiarezza cristallina, in base alla legge La Torre, la presenza dell’associazione mafiosa.

Eppure ecco la Cassazione che arriva di nuovo, trenta o venticinque anni dopo, a svolgere la stessa funzione di un tempo in Sicilia e a rispedire ai giudici di merito le condanne. Perché le prove che si tratti di mafia non ci sono mica tanto. Ma quali clan mafiosi? Giusto, aspettiamo che qualcuno ci lasci le penne anche a Milano e dintorni…

Ma è ora di ribellarsi a questo “secondo tempo”. Perché non fare, come allora, un bel monitoraggio delle sentenze di Cassazione in tema di mafia? Qualcosa si troverebbe. E non sarebbe propriamente lo spirito delle leggi…

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