“Ti delego, ma guai se indaghi su di me”
L’intervento giudiziario è in espansione in tutti i sistemi democratici. Le cronache di questi giorni (caso de Villepin in Francia e intervento della Corte costituzionale in Germania) dimostrano che non si tratta di una questione specificamente italiana. Anzi, la diffusione del fenomeno significa che esso ha dimensioni oggettive e non è il risultato (come si vorrebbe far credere nel nostro Paese) di forzature soggettive.
Problemi che la politica non sa risolvere finiscono per restare privi di copertura normativa ovvero danno vita a stalli decisionali. Mentre la tradizionale (e abnorme) debolezza dei controlli amministrativi e della stampa, insieme ad una concentrazione di potere (economico, mediatico e politico) senza eguali, rendono la nostra democrazia per molti versi “pallida”. “Pallore” che diventa anomalia tutte le volte che la politica delega pressoché esclusivamente alle forze dell’ordine e alla magistratura la soluzione di problemi che la politica stessa – appunto – non sa come affrontare.
E‘ storia del nostro Paese, verificabile ripercorrendo quanto è accaduto su vari versanti: terrorismo brigatista; stragi di destra; corruzione; sicurezza sul lavoro (pensiamo al caso Eternit in Piemonte e al caso Ilva di Taranto); fine vita; mafia e specificamente i rapporti tra mafia e politica.
Delega, ma con un… corollario: se si supera l’asticella idealmente tracciata (senza farne parola) dai deleganti, se cioè si toccano certi interessi che al controllo di legalità non ci stanno e pretendono invece – in varie forme – impunità, ecco che il delegato deve mettere in conto di essere aggredito con una delle tante manifestazioni ostili che han determinato, negli ultimi vent’anni, un vero e proprio “assalto alla giustizia”.
La giustizia da noi non funziona, ma quando funziona un po‘, c’è subito qualcuno che pretende non “più” ma “meno” giustizia se gli accertamenti si indirizzano verso certi “santuari”. Ed è esattamente quel che sta capitando per l’inchiesta della procura di Palermo rubricata alla voce “trattative”, ennesimo capitolo – sotto certi profili – dell’infinita querelle dei rapporti mafia- politica.
Questa volta le polemiche sono più intense che mai, davvero al calor bianco: perché al calor bianco sono i temi (e le implicazioni) dell’inchiesta palermitana, che nel capo d’accusa accosta nel medesimo cerchio mafiosi, carabinieri e politici in un “mix” obiettivamente esplosivo.
Va riconosciuto ai PM palermitani il merito di aver operato con coraggio ed onestà intellettuale, al solo servizio della legge e della verità. Ciò ovviamente non significa che anche in questo caso, come per tutti gli interventi giudiziari, non vi sia spazio per critiche ed opinioni dissenzienti. Ci mancherebbe. Purchè tutto si collochi in un quadro di rispetto del difficile lavoro degli inquirenti.
Rispetto che potrebbe rasserenare il clima generale, nel momento – delicato e nevralgico – in cui il GIP si appresta a valutare se il lavoro dei PM meriti o meno un pubblico giudizio.