Le cinque giornate di Milano
Tra studi e dibattiti, i nuovi modi di insorgere contro la tassa mafiosa: “Summer School in Organized Crime”
Consideriamo l’Italia e dividiamola in due. Due grandi uniche regioni. Immaginiamo, per assurdo, di riuscire ad isolare solo in una di queste la criminalità organizzata e di comparare ciò che accade nell’economia e nel sistema istituzionale di entrambe. Un paragone di questo tipo ci permetterebbe non solo di identificare gli effetti della mafia ma anche di calcolarne i costi in maniera semplice, chiara e immediata. Cosa cambia in termini di produttività e di redditività? La mafia porta veramente lavoro, crescita e sviluppo?
Questo è stato uno dei molti risultati di studio presentati alla II Edizione della Summer School in Organized Crime presso la Facoltà di Scienze Politiche di Milano, organizzata dal Prof. Nando dalla Chiesa. Una full immersion di cinque giorni che ha visto sfilare docenti, ricercatori, magistrati, rappresentanti di vari enti locali e appassionati studiosi che hanno dato il loro contributo in termini di ricerca ed esperienza professionale ineguagliabili.
Perché se è vero che “coppola e lupara” sono sinonimo di una solida organizzazione resistente alle intemperie è anche vero che l’unico modo per contrastarla è agire in maniera uguale e contraria, ossia con una intelligenza e alto senso di civiltà e professionalità “organizzata”.
E’ quello che è avvenuto a Milano, menti appassionate e geniali hanno messo al servizio della collettività ricerche e risultati che sono il simbolo di anni di studio sul campo ma anche di dedizione, passione, esperienza e vita. C’è qualcosa di importante in tutto questo. Dare valore e spazio ai giovani, alle loro proposte e al loro apprendimento, alla loro voglia di andare oltre i banchi delle aule universitarie, di riunirsi e di discutere ancora per le strade, davanti ad un caffè.
L’esperienza di quest’anno era focalizzata su “La tassa mafiosa. I costi economici e sociali della criminalità organizzata: analisi e strategie di intervento”.
Quanto pesa nelle nostre tasche e sulle nostre vite la mafia? Quanto le stime note possono considerarsi realistiche e attendibili? Su quali fattori si basano e perché? Fra queste i numeri della Corte dei Conti, per cui ad esempio solo il costo della corruzione in Italia si aggirerebbe tra i 50-60 miliardi di euro.
Ma questi miliardi cosa sono, a cosa fanno riferimento nello specifico, e quale è il criterio di sottrazione applicato al PIL italiano per poter affermare dati simili con certezza?
Sappiamo che l’importanza di questi “tentativi eroici” di quantificazione dei costi tende a tenere alta la soglia di attenzione riguardo al fenomeno, ma di contro crea anche allarmismo, confusione che nel lungo periodo possono essere tradotti in un senso di sconforto e di sfiducia sociale nelle possibilità concrete che lo Stato ha a disposizione per arginare e rispondere in maniera efficiente al problema.
Il peggioramento dell’indice di percezione della corruzione (CPI) può determinare una riduzione annua del PIL, del reddito pro capite e della produttività di un paese. Ecco la necessità di uno studio di questo tipo.
Ma, in fondo, è tutta e solo una questione di numeri?
Partendo da un dato facilmente intuibile, la tassa mafiosa grava su beni materiali come la sottrazione forzosa di risorse private, quella forzoso-politica di risorse pubbliche, grava sui costi della giustizia e della sicurezza, su quelli di distruzione ambientale, fa emergere una inefficienza del sistema di allocazione di risorse e questo può provocare un effetto di scoraggiamento per le imprese e un’ innalzamento della soglia di accesso al mercato.
Ma ciò che più colpisce sono i costi sui beni “immateriali” come quelli di relazione ad esempio, la tassa mafiosa colpisce la fiducia nelle istituzioni ma anche tra le persone, la giustizia, l’efficienza dei servizi, i costumi civili, la partecipazione. Colpisce le eccellenze individuali, il merito, la diffusione dei talenti in zone diverse da quelle di origine, l’arte e la cultura. Colpisce l’armonia di un paese, intesa come benessere, felicità, libertà.
È chiara dunque la difficoltà di una quantificazione e soprattutto di una risposta efficace delle istituzioni, in termini di progettualità, risorse, innovazione e strumenti volti ad arginare il fenomeno. Ecco il perché di un approfondimento e di un confronto con gli “operatori” che giornalmente danno forma e vita a molte intuizioni. Perché la risposta dello Stato è importante. Così come lo è una non risposta.
Perché tuonano ancora queste parole a distanza di giorni: “Non credo più in questo paese dove corruzione e prepotenze imperversano sempre. Auguro a chi continua a resistere di avere più fortuna di me. L’onestà non paga. L’onestà e la trasparenza non pagano. Questo non è più il mio mondo”.
Parole che scuotono, macchiate dalla pistola con cui Ambrogio Mauri, un’ imprenditore milanese nel 1997 decide di farla finita. Distrutto dalla logica delle tangenti che l’inchiesta di Mani Pulite non era riuscita a cambiare. La figlia Roberta racconta con pudore e dignità la storia di suo padre, affinché non muoia una seconda volta schiacciato da logiche imprenditoriali ormai diffuse prive di etica e di valore.