Trattative
Quello delle “trattative” fra stato e mafia (che si sarebbero variamente intrecciate, persino dandovi causa, con le stragi del 1992/93) è un labirinto vischioso nel quale si intravvedono interessi torbidi. I magistrati della procura di Palermo dovranno fra poco sciogliere alcuni primi nodi, motivando la richiesta di rinvio a giudizio di vari soggetti accusati di minaccia a corpi politici dello stato per turbarne l’attività (art. 338 cod. pen.), minaccia consistita nel prospettare gravi delitti (stragi e omicidi) alcuni dei quali commessi.
L’elenco degli accusati è di per sé sconvolgente: dà la misura della difficoltà e delicatezza degli accertamenti e nello stesso tempo del devastante impatto che potranno avere gli esiti del processo.
L’accusa, infatti, accomuna fra loro, come pezzi che insieme formano un unico strabiliante cerchio, mafiosi di primaria caratura criminale, carabinieri al vertice del ROS e uomini politici come Mannino e Dell’Utri.
Per di più il delitto di minaccia a corpi politici è contestato in concorso con il defunto capo della polizia Parisi e con il defunto vice direttore del DAP Di Maggio, oltre che in concorso con altri “congiurati” allo stato ancora ignoti, ma che – stando ad alcune indiscrezioni – potrebbero anche essere stati “eccellentissimi”.
I PM di Palermo sono professionalmente affidabilissimi, perciò senza dubbio in grado di avvicinarsi alla verità più di chiunque altro. Attendiamo con fiducia, quindi, questa prima pronunzia.
Per contro, il clima creatosi intorno a loro non sembra favorevole – ancora una volta – ad una seria discussione sui rapporti fra mafia e politica.
Al riguardo il nostro paese sconta un vizio d’origine, che è l’ostinato rifiuto di qualunque discussione e confronto sul caso Andreotti, del quale sono provati – Cassazione 9/4/05 – rapporti con Cosa nostra quanto meno fino al 1980.
Il rifiuto di ogni analisi si ripete con il caso dell’Utri, del quale pure la Cassazione, con sentenza 9/3/12, ha stabilito (pag. 129) la responsabilità per aver commesso fino al 1978 il reato di concorso esterno con Cosa nostra, operando di fatto come tramite di Silvio Berlusconi.
Dunque, personaggi di primaria grandezza della storia italiana, sul versante politico (Andreotti) e su quello dell’imprenditoria fattasi poi politica (Dell’Utri e dintorni), hanno intrattenuto cordiali e proficui rapporti, non sporadici, con la criminalità mafiosa.
Una realtà inquietante della quale, invece di far finta di niente, si dovrebbe discutere: preliminarmente ad ogni discorso ulteriore, compreso quello sulle “trattative”.
Invece, tutto viene delegato – come sempre – alla magistratura. Con l’improntitudine, da parte di molti, di scatenare velenose polemiche accusando i magistrati di deragliare rispetto ai loro compiti col maneggiare una materia indefinibile ed opinabile che rischia continuamente di volatilizzarsi. Per poi brindare a champagne se Antonio Ingroia decide di andarsene in Guatemala.
(22 luglio)