La creatrice di fantasia
Il mondo di Trump e l’arte de La Malanova
West Palm Beach, Florida. All’alba del 6 novembre Donald Trump sale sul palco e annuncia di essere tornato. Sarà il quarantasettesimo Presidente degli Stati Uniti. Sullo sfondo cinquanta bandiere americane, drittissime.
Piazza Carlo Alberto, fiera di Catania, Sicilia. Il palco è un fazzoletto di asfalto in mezzo ai tavolini. Graziano Distefano, in arte Grazianal, prende il microfono: “sarà un grande spettacolo, fidatevi degli uomini con la parrucca”. Sullo sfondo, appiccicata con un po’ di scotch, la bandiera di Open, collettivo queer.
In Florida, tra le urla smodate, appare Elon Musk. Alla fiera di Catania, tra l’odore di pesce e frutta calpestata, appare la Malanova. Il pubblico si ammutolisce, la piazza si fionda tutta intorno a lei. Inizia lo spettacolo. Una Drag sta tenendo in pugno centinaia di persone, in mezzo alla strada, senza un palco. La musica, la danza, le risate, i pianti. Non si distingue dove inizia la danza e dove finisce il teatro. Chi guarda sa di assistere a qualcosa di prezioso.
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Il mio nome è Antony. Negli Stati Uniti ho iniziato a farmi chiamare Nino. Sono nato e cresciuto ad Acicatena, in provincia di Catania. Ho iniziato a ballare quando avevo sei anni, con mia cugina. Latinoamericano. Ero portato, eravamo bravi, facevamo tanti concorsi. Non mi interessava altro che danzare, anche la scuola passava in secondo piano. A tredici anni ho fatto coming-out. Sono stati anni difficili, soprattutto per il rapporto con mio padre. A diciott’anni ho deciso di andare via. Ho girato l’Europa in cerca di un luogo che potesse accogliermi. Di più in Spagna: Madrid, Barcellona, Valencia. Poi negli Stati Uniti: New York, Boston. Danzavo, insegnavo danza, partecipavo a musical. Amavo quello che facevo ma sentivo di non essere pienamente me stesso, interpretavo sempre altro da me.
È in quel momento che nasce la Malanova?
Credo che la Malanova sia iniziata a crescere in me quando avevo sette anni. Condividevo la cameretta con mio fratello maggiore. Lui la notte per dormire voleva il buio e silenzio, io volevo la televisione accesa. Così quando si addormentava io la accendevo. Una notte, poteva essere l’una, su rete 4 inizia un film. Patrick Swayze esce dalla doccia, si fa la barba, inizia a truccarsi, indossa le calze e dice: “Reggetevi sui tacchi, sta arrivando mammina”. Per la prima volta vedevo una Drag Queen. Nel bel mezzo del film mio fratello mi da un pugno e spegne la televisione. Dramma. Come si chiamava quel film? Come lo avrei potuto ritrovare? Anni dopo arrivò internet a casa, potevo finalmente rivederlo. Fu difficile ma lo trovai: “A Wong Foo, grazie di tutto! Julie Newmar”. Era il mio mondo. Iniziai a guardare il programma televisivo Drag Race. In quei costumi, in quell’estetica non riuscivo a identificarmi del tutto. Poi uscì in TV Dragula, lì iniziai a ritrovarmi. Ero una Drag. La Malanova non fu subito il nome che mi diedi. In Spagna ne dovetti inventare uno d’improvviso: non dico quale. Poi a Verona conobbi la Drag Ellady Dark, la mia seconda “madre”. Mi capì subito. Mi propose un nome che poteva rappresentare la nuova me: Novaskin. Con lei ho fatto il primo concorso da Drag, lo vinsi. 2020, il covid. Sono dovuto tornare ad Acicatena e ho dovuto fare i conti con la diagnosi di ADHD. Novaskin doveva prendersi un periodo di pausa. È stato un periodo molto complicato e molto doloroso. A marzo scorso con la giusta terapia ho iniziato a poter riaffrontare la vita. Esattamente in quel momento La Malanova è uscita allo scoperto. Per anni mia madre, i miei amici, mi hanno detto: “sei sfortunata, hai la malasorte addosso, sei nato sotto la luna storta, sotto la stella sbagliata, sei sfigata”. A un certo punto mi sono detto: sai che c’è? Io mi sono stancato di questo peso di essere sempre sfigato, da adesso io accetto questa sfiga e la faccio mia. E da oggi lo sai che faccio? Siccome ho la malanova addosso… divento io la malanova. La Malanova sono io. E all’improvviso il cerchio si è chiuso: la Spagna “mala”, la mia sventura, una parola siciliana. Finalmente me stessa.
Cosa significa essere una Drag?
Drag, in italiano, sarebbe travestito o travestita. Usiamo questa parola perché travestito in italiano sembra una cosa cattiva, ma non è così dappertutto. Drag è vivere la propria fantasia e farla durare il tempo che vuoi: qualche ora o un’intera giornata. In ogni posto che vuoi: in piazza, in giro per la città, su un palcoscenico, oppure dentro casa. Drag è fantasia ma anche creare fantasia. Io progetto il mio abito, lo creo, lo cucio, scelgo le stoffe, la parrucca, il copricapo, il makeup, i collant, le scarpe. Quando sono sul palco io sento felicità, energia, sento il potere di fare ridere, piangere, riflettere. Poi cerco di essere la più perfetta possibile. Questo me l’ha insegnato la danza: il piede nella posizione giusta, il climax nella musica, la coordinazione nei movimenti, l’ideazione precisa della performance.
Non sempre si è capite.
Vengo dalla strada, ho imparato a difendermi. So che quando sono in Drag devo stare in allerta. Alcuni si sentono in diritto di toccare un pezzo del tuo outfit, di insultarti, di strapparti la parrucca. E tu sei lì, su tacchi vertiginosi, con un corpetto che ti costringe e blocca i movimenti, basta un movimento sbagliato per finire a terra. Per questo serve sapere selezionare spazi sicuri nei quali esibirsi, dove chi assiste sa apprezzare la tua arte. Oppure bisogna essere pronti a difendersi. Ci sono stati momenti nei quali mi sono sentita umiliata ma, pur con difficoltà, ho saputo affrontarli. Ho deciso di affrontarli per non lasciare sole le mie sorelle.
Drag è politica.
Io ho sempre desiderato fare politica, anche per rispondere a quello che succedeva dentro la mia famiglia che non mi accettava come persona omosessuale, ma non ho mai avuto l’occasione e gli strumenti per farla. Non avevo mai incontrato persone che facevano politica e che erano pronte a coinvolgermi. Per me Open è stato un abbraccio, che mi ha coinvolto a livello umano, che mi ha portato a essere parte di una lotta, di una resistenza, di un processo di affermazione. Open mi ha fatto uscire dalla solitudine. Nei piccoli paesi c’è sempre qualcuno che vuole farti credere che tu sei l’unico omosessuale. Poi scopri che non è affatto così. Ma rimani solo nelle battaglie, perché non hai luoghi nei quali farle, altre persone con le quali farle. Ho provato a compensare l’assenza di spazi per la lotta politica con i miei spettacoli. Fino all’incontro con Open. È stato tutto molto strano. Così tanti omosessuali insieme in una riunione non li avevo mai visti, così tante teste da mettere d’accordo, così tante idee. Ho capito che nonostante la confusione ci si muove, si va avanti, si fanno lotte e battaglie importanti. Oggi Open per me è diventata una parte fondamentale della mia vita e non riesco a immaginarmi fuori da questa comunità. Ho scoperto quante cose riusciamo a realizzare insieme. Oggi sono una Drag che fa politica.
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Ho visto La Malanova realizzarsi. Nell’ufficio dell’Arci, trasformato in camerino: con lampade, trucchi, piume, parrucche, un enorme ventilatore per non rovinare l’outfit. L’ho vista arrampicarsi sui tacchi e correre in mezzo al quartiere dell’Antico Corso, con le anziane signore alla finestra, tra i passanti ammutoliti, tra i bambini divertiti. Fiera, orgogliosa, potente. Questo lega La Malanova a Trump: lei è l’antidoto all’odio e all’oppressione. Iniezione di libertà pura.