La via delle illusioni e quella delle verità
C’è bisogno di aria fresca. Di aprire porte e finestre , di rileggere la nostra storia. Perché i percorsi di legalità sono anche percorsi di verità…
Porte e finestre resteranno ermeticamente chiuse finché non riusciremo ad allentare (se non proprio sciogliere) alcuni nodi.
Il nodo più avvolgente e soffocante è costituito dalla persistente e diffusa tendenza di una parte significativa della politica a costruire una realtà virtuale, sulla quale imporre le proprie scelte e l’esercizio del potere.
Una politica che vuole farci vivere in un clima di “grandi illusioni”. Ma non illusioni nel senso di speranze eluse. Illusioni come trucco da prestigiatori, alchimie per i gonzi. Parole snaturate, concetti piegati fino a svuotarli di significato per rovesciare sistematicamente la verità.
Cose false (o deformate) contrabbandate per vere (o esatte): verità rovesciate da accettare senza fiatare. E per chi osa discutere, ostracismo assicurato.
I percorsi di legalità (e quindi di verità) sono inquinati da questo capovolgimento della logica e del buon senso che comincia con lo sterminio del significato corrente delle parole.
Allora si capisce perché – per far ingoiare all’opinione pubblica la polpetta avvelenata dell’attacco ai magistrati che fanno il loro dovere onde sottrarsi ai loro controlli – si inventino bufale che colpiscono l’immaginazione e che la nota tecnica del trapanamento mediatico ossessivo finisce per trasformare in “verità rovesciate”: partito e governo dei giudici, toghe rosse, politicizzazione, golpe, associazione a delinquere, eversione, teoremi invece che prove e via inventando.
Nel quadro dell’accusa generalizzata di “giustizialismo”, un pregiudizio (anche linguistico) usato con tecnica intimidatoria per mettere l’avversario fuori gioco prima ancora che la partita inizi.
Nello stesso tempo diventa più facile capire perché, nel nostro Paese, si confonda così “allegramente” prescrizione con assoluzione, negando (anche a fronte dell’accertamento di fatti gravissimi) ogni responsabilità: non solo politico/morale ma persino giudiziaria ancorchè provata.
Con la conseguenza (voluta!) che in questo modo si legittima di fatto ( per il passato, ma pure per il presente e per il futuro) una politica che contempla anche rapporti organici col malaffare , persino mafioso. Abbattendo la linea di demarcazione – fondamentale per la tenuta di ogni democrazia – fra lecito e illecito, morale e immorale, verità e propaganda interessata.
E si capisce anche – infine – perché siano così diffuse e robuste le diffidenze, le incomprensioni e le ostilità che ostacolano in ogni modo le indagini dirette a fare verità sulle stragi mafiose e su tutto ciò che intorno ad esse si è torbidamente mosso. Come le cronache di queste ore stanno purtroppo a dimostrare.