Un’estate libera
Piemonte, al Veneto, alla Lombardia, decine e decine di ragazzi al lavoro nei campi confiscati alla mafia e gestiti da Libera. Luoghi significativi della presenza e del radicamento delle mafie, ma anche realtà dove lo Stato, accompagnato dalla società civile, attenta, vigile e responsabile, ha dimostrato – a fatica – di sapersi riscattare. E adesso, luoghi di allegria e di liberazione. Alla faccia dei mafiosi e dei loro fuochi
«Quella che viviamo è un’esperienza positiva, al di là dei lavori che fanno i ragazzi. La loro presenza significa condividere il bene, il percorso da noi iniziato nella Locride. Un bene confiscato condiviso è una cosa bellissima, e poi i ragazzi ci mettono il sudore, la passione, la fatica». A parlare è Francesco Rigitano, da Marina di Gioiosa Jonica. Francesco è l’animatore locale di Libera, e dell’associazione don Milani e racconta dell’esperienza che, da molti anni a questa parte, giovani da tutta Italia vivono nei beni confiscati ai boss.
I ragazzi a Gioiosa quest’anno lavoreranno in un immobile appena consegnato. Nel progetto formativo si legge: «Riqualificazione del bene. Lavori di manutenzione della struttura confiscata e dell’annesso giardino». Che tipo di lavori? Tinteggiatura, abbellimento del verde, piccoli lavori di manutenzione.
Come sempre, ci saranno anche momenti di riflessione comune. «Lo scorso anno – sottolinea Rigitano, che non nasconde la sua soddisfazione – sono venuti in 60, quest’anno pensiamo di avere gli stessi numeri. Vengono da tutta Italia, dalla Sicilia alla Lombardia, al Veneto.
Chi viene da fuori inizialmente lo fa per curiosità, per vedere un posto descritto per le sue negatività. Poi si confronta con l’accoglienza e con l’ospitalità della gente. C’è chi vuole ritornare per continuare a vivere questa realtà. C’è anche una buona risposta della gente del posto, ma non è sempre così. C’è sempre qualcuno mandato per controllare cosa si sta facendo».
«La cosa più bella – aggiunge – è che i gruppi che vengono chiedono un ritorno. Chiedono di poterci rivedere durante l’anno, per avere un momento di condivisione con i genitori, come è capitato con un gruppo di Imola. In questo modo si aprono nuove esperienze, non è un momento fine a se stesso».
Quello che raccontiamo è un piccolo grande evento di democrazia partecipata: i campi di volontariato nelle cooperative che gestiscono i beni confiscati ai boss, promossi dall’associazione antimafia Libera assieme a numerosissime sigle associative, sindacali, di volontariato.
Spostiamoci in Puglia. A Mesagne, cittadina del brindisino dove viveva Melissa Bassi, uccisa barbaramente nell’attentato contro la scuola Morvillo-Falcone. Qui è presente una cooperativa di Libera Terra, Alessandro Leo ne è il presidente.
«Facciamo i campi ormai dal 2008, fin dal primo momento è stata un’esperienza importante per la vita della cooperativa, perchè i ragazzi, nel limite delle loro possibilità, hanno dato una mano d’aiuto e perchè non ci hanno fatto sentire soli. Condividono con noi la responsabilità, facendoci sentire più forti. Ci aiutano a far capire che la nostra non è un’esperienza di pochi, ma di un Paese intero che si muove con noi».
Anche qui l’apporto fondamentale dei giovani che contribuiscono, passo dopo passo, anno dopo anno, alla riappropriazione simbolica di quanto illegalmente sottratto alla collettività. L’esperienza di Mesagne diventa l’esperienza di tutta l’Italia. Anche di quella parte della Penisola devastata dal terremoto. «Quest’anno ci saranno un centinaio di ragazzi che vengono dall’Emilia Romagna, si spostano dalla zona sismica per noi, dando un grande segnale di corresponsabilità».
Dal modenese, dal reggiano, dal ferrarese cento giovani che vanno a fare volontariato contro i boss nel Salento. Roba da premio nobel. Ne parliamo con Daniele Borghi, bolognese coordinatore di Libera in Emilia Romagna. «Sono molti i campi a cui parteciperanno, anche quest’anno, i ragazzi dell’Emilia Romagna. Ciò dimostra che continua il filo logico della nostra attività nel condividere le esperienze di Libera Terra. Dalla conoscenza diretta alla vendita dei prodotti realizzati nei terreni confiscati». «Non può essere un terremoto a bloccare questo percorso. Aggiungo di più, la scorsa settimana ci siamo riuniti in assemblea regionale e abbiamo deciso che l’impegno di raccolta fondi per il prossimo anno sarà concentrato non soltanto, come è doveroso, per le zone terremotate, ma anche per le cooperative di Libera Terra». Non è retorica ipocrita, ma vera solidarietà con la “S” maiuscola. «La nostra presenza in Puglia, in Calabria, così come in altre zone è la testimonianza che soltanto tutti insieme possiamo vincere questa battaglia per la legalità».
Cambiamo città. Trieste. Stefano Scorzato, fisico da rugbista con un cuore enorme, è stato per anni il coordinatore di Libera. Una bella famigliola, tre figlioletti, due appena arrivate, e la voglia di fare la sua parte. Con la cooperativa triestina la Quercia e con gli amici di Libera, da anni organizza gruppi di ragazzi che vanno a lavorare nella cooperativa Terre di don Peppe Diana, nel casertano. Non ragazzi qualsiasi, ma quelli che sono segnalati: «dall’Ufficio servizi sociali per i minorenni in carico al Tribunale per i minori di Trieste». Minorenni problematici mandati a farsi le ossa nell’Agro-Aversano lavorando sui terreni confiscati ai padrini di Gomorra. «Partiamo da Trieste con la voglia di conoscere una zona del Paese descritta soltanto negativamente. Portiamo un piccolo contributo al riscatto sociale di questo territorio con il nostro lavoro volontario».