I fantastici 4
In cammino giudiziario lungo la Magna via Francigena di Sicilia
Quando arrivi a Filaga la prima cosa che incontri è il parco della speranza e della memoria. Un piccolo fazzoletto di prato, qualche alberello appena piantato…niente di che. Ma è un benvenuto che scalda la mente. Di fronte al parco c’è l’antico abbeveratoio costruito nel 1600 dal popolo arbereshe, la comunità albanese che da secoli popola alcuni comuni della Sicilia occidentale. Poco più in là una fila di case coloniali costruite negli anni del regime come scenografia per il passaggio del duce, su alcune ancora campeggia il fascio littorio e il riferimento all’anno sesto dell’era fascista. Ancora più in là una vecchia scuola, realizzata negli anni cinquanta dall’Ente Sviluppo Agricolo, adesso trasformata in ostello. Si chiama Terr@ Terra ed è gestito da un gruppo di residenti, quasi tutte donne. La capa è Gisella.
Lì, in quella piccola frazione del comune di Prizzi, luogo della mitologia di Orlando (Leoluca), Padre Pintacuda e della primavera palermitana post stragi di mafia, nel cuore del cuore della Sicilia, in una vecchia aula scolastica è iniziato il mio cammino giudiziario sulla Magna via Francigena di Sicilia.
Supereroi
In realtà il cammino doveva iniziare due giorni prima, tra Palermo e Corleone. In tutti i romanzi di formazione l’evoluzione del protagonista verso l’età adulta passa però attraverso dei riti d’iniziazione. Ecco Palermo e Corleone sono state delle prove propedeutiche all’inizio del cammino: che non tutti hanno saputo affrontare. Ad accompagnarli in questo rito, con coraggio e sacrificio, Bianca e Christian. Sono riusciti i nostri eroi a superare la prova di resistenza a panelle, meusa e crocché Nni Francu u’vastiddaru? Sono riusciti a lasciare a casa la vecchia vita? Sono riusciti a fidarsi e affidarsi a chi si proponeva di condurli nell’avventura?
All’alba, nella piazza principale di Corleone, in quattro hanno deciso di iniziare il viaggio, altri sono tornati a casa. A vederli, quei ragazzi e quella ragazza sembravano proprio i fantastici quattro della Marvel. E chissà che forse non lo sono veramente: Mister Fantastic, Donna Invisibile, Torcia Umana e Cosa. Noi li chiameremo così.
TRAP
Mister Fantastic ha commesso dei reati quando non era ancora maggiorenne, è stato segnalato all’autorità giudiziaria ed ora deve affrontare un processo. È seguito dall’Ufficio dei Servizi Sociali del Ministero della Giustizia e partecipa alle attività del progetto TRAP, che sta per Tutt* Rivendichiamo altre prospettive. Un progetto portato avanti da oltre venti organizzazioni siciliane e finanziato da Conibambini. Donna Invisibile, Torcia Umana e Cosa hanno più o meno la stessa storia. Spiegare cos’è Trap non è facile. Il rischio di scadere nella propaganda o nel burocratese è enorme. Mariagiovanna Italia, che coordina il progetto, dice sempre una cosa: “conosciamo ragazze e ragazzi che quando aprono l’armadio trovano sempre un solo abito da indossare”, quello del violento, del bullo, dello stupratore, dello spacciatore, del mafioso, del disperato. “Le attività del progetto Trap sono il modo per mettere nell’armadio altri abiti, altri modi di stare al mondo, altri universi valoriali. Non è detto che le ragazze e i ragazzi li indossino subito, non è detto che sceglieranno mai di indossarli, però noi intanto glieli facciamo mettere nell’armadio: a loro disposizione per sempre”. Il cammino giudiziario è uno dei modi, curato da Officina Socialmeccanica, di cucire nuove visioni.
Un cammino interiore
Percorrere a piedi, in un piccolo Cammino di Santiago, le decine di chilometri della Magna via Francigena da Palermo ad Agrigento, è un modo per solcare i sentieri della propria mente e del proprio essere. Detto così può sembrare retorico ma me ne sono accorto io stesso, due volte in poche ore, per davvero. La prima volta. Eravamo al belvedere di Prizzi, in cima a una rupe, affacciati sulle vallate che il paese domina.
Maria Chiara e Angela, educatrice e assistente sociale, interrompono il nostro vociare: “adesso stiamo zitti per qualche minuto, ascoltiamo il silenzio”. Una telefonata in sottofondo interrompe la solennità del momento. “Scusate, mi dispiace, scusate, scusate”. Si ritorna al silenzio. Che può fare di buono il silenzio? Penso tra me e me, con un odioso piglio di supponenza. Improvvisamente sento solo il vento accarezzare le mie orecchie, i cinguettii in lontananza, l’agitarsi delle foglie d’erba. Lo spazio diventa ancora più grande, il cielo ancora più immenso. Ed è come se i pensieri avessero più spazio per muoversi, per danzare. Un benessere totale lo avverto nel suono del mio respiro. In qualunque altro momento della mia vita, per assaporare quegli istanti fino in fondo avrei chiuso gli occhi, ma lì no. Il paesaggio, il cielo, i colori, le altre e gli altri accovacciati sull’erba erano parte integrante di quelle sensazioni. Il silenzio per la prima volta non era solitudine ma vita.
La seconda. Donna invisibile ci racconta del suo cammino. Non è la prima volta che percorre la via Francigena. “Eravamo a piedi, senza nessun mezzo, dovevamo arrivare a destinazione. A un certo punto ha iniziato a piovere. Ma piovere! Eravamo fradici, le scarpe pesanti piene di fango. Arriva la salita e poi in lontananza vedo un muro . Ero esausta. Sapevo che non ce l’avrei fatta. Eppure continuavo a mettere un piede davanti all’altro. Dicevo che mi sarei fermata e arresa ma intanto continuavo. A un certo punto arriviamo al muro. Bisogna scavalcarlo. Piove fortissimo. Non posso farcela. Eppure ce la faccio. Lo supero. Arrivo alla meta. Mai avrei pensato di potercela fare, mai avrei pensato di avere dentro di me la forza per farlo, la tenacia, il coraggio. Ma l’ho fatto”.
Gli incontri
Il cammino sulla via Francigena è anche (soprattutto?) gli incontri che fai sulla strada. I volontari e i preti di Santa Chiara nel quartiere di Ballarò, Salvatore di “Lavoro e non solo” a Corleone, Federico che dal museo dell’antimafia a Corleone, a bordo di un furgone, ci ha accompagnato nei tratti di strada che non abbiamo fatto a piedi, Gisella a Filaga, Totò a Prizzi, Suor Paolina del convento di Castronovo. Storie,volti e voci che diventano parte del viaggio, monumenti da conoscere al pari di boschi antichi e monasteri. A Filaga c’è il signor Tommaso, 88 anni, ex impiegato della forestale e nel tempo libero un’altra decina di mestieri, trasferito a Filaga da Cammarata per seguire la moglie. È morta da poco. Le sue giornate passano da custode del borgo. Casa sua è aperta a chiunque voglia fargli visita, vino e limoncello inclusi. A Filaga c’è Gisella dell’associazione “Solidarietà”: è l’anima del progetto Terr@ Terra che ha trasformato la vecchia scuola elementare in ostello e centro di aggregazione giovanile. “Stasera a cena a Filaga ci sono i ragazzi. Che fa venite?” Basta dire questo a Gisella e nel giro di qualche ora l’ostello si popola di gente, si apparecchia per tutti. C’è un modo intenso e commovente di prendersi cura degli altri e di essere comunità. Alla fine della cena balli di gruppo.
A Prizzi c’è Totò. Assomiglia a un fidanzatino al primo appuntamento, tenero, gentile, con gli occhi luminosi: Totò è innamorato di Prizzi. Tornato in paese dopo l’Università ha deciso di restarci e di portare tutto quello che ha conosciuto a Palermo lì. Volontari internazionali, giovani, progetti, idee, l’Arci. Ha fondato Sikanamente che è motore di mille cose, di mille spazi e tantissime attività. Totò si muove per il paese che sembra il Sindaco, lo fermano tutti, lo cercano tutti. Il telefono squilla e sono pellegrini della Svezia che vogliono ospitalità per la via francigena, dopo cinque minuti sono svizzeri a parlare. Con l’accento di Prizzi Totò parla un inglese perfetto. Con le volontarie dell’associazione Totò ci ha accompagnato alla scoperta del paese e poi ci ha invitato a pranzo nella sede. Salsiccia essiccata, formaggio, olive, caponata, pane di casa “cunzato”, pasta con funghi e salsiccia e pasta con finocchietto e ricotta (Torcia Umana non mangia carne di maiale, anche se vorrebbe bere il vino). D’un tratto dalla porta entrano dei pellegrini. Due uomini sulla cinquantina. Vengono da Annecy ma solo uno è francese, l’altro è di Bergamo. Nella tratta da Corleone e Prizzi hanno lasciato le mogli indietro, con passo più corto e loro sono andati avanti. Arrivati alla porta del centro Caos di Sikanamente, hanno chiesto di essere accompagnati nelle stanze. “Ma quali stanze – dice Totò – c’è tempo, venite, sedetevi, mangiate, bevete”. Si sono accomodati e hanno iniziato a mangiare e bere vino. Soli. Ci hanno fatto promettere di non rivelarlo alle mogli, giunte quaranta minuti più tardi. A Santo Stefano Quisquina c’è Vittorio: quello per il suo paese è un amore a distanza, ma quando ha saputo che saremmo arrivati in paese ha preso il primo autobus da Palermo e ci ha raggiunto. È giovanissimo, ha l’età dei supereroi, ma conosce il paese come pochi.
Cicatrici
Ogni supereroe ha il suo punto debole. La kryptonite dei fantastici quattro si chiama “passato” e si riesce a vedere, come una cicatrice ancora dolorante, nei loro occhi e nel tono della loro voce. Torcia Umana conserva l’odio, Donna invisibile la rabbia. La fragilità di Mister Fantastic si mimetizza addosso a una falsa insicurezza, Cosa tenta di nascondersi nel silenzio ma è sempre tradito dagli occhi.
Le ragazze e i ragazzi che partecipano alle attività del progetto TRAP incontrano tante volontarie, operatrici sociali, educatrici, assistenti sociali. Solo alcune di queste figure conoscono la kryptonite dei ragazzi. Molti di noi non hanno idea invece di cosa possa essere. Questo ti aiuta a ragionare e lavorare senza giudizio, fuori dalla trappola dei pregiudizi, fuori da qualunque possibile banalizzazione. Non conoscere il passato, non potere guardare indietro, ti obbliga ad avere una prospettiva nuova. Diceva Caterina nel film di Paolo Virzì che “al contrario dei pesci che coi loro occhi guardano a di lato e delle mosche che invece guardano dappertutto, noi umani possiamo solo guardare avanti”. Il concetto è questo.
Nel cammino le ferite a volte fanno più male. Ricordo di un ragazzo che una volta rispose alla mia domanda su cosa sognasse di fare da grande che “nella vita non si sogna”. A Prizzi Torcia Umana, rispondendo a chi lo esortava a una riflessione, ad accettare un altro punto di vista, argomentava che “pensare è sbagliato”. Cicatrici di vecchie ferite, non ancora pienamente rimarginate. Ma c’era Bianca a dare forza.
La vita di prima e quella di adesso
A un certo punto con Marco abbiamo incontrato i fantastici quattro uno a uno. Avevamo appena finito una buonissima carbonara, ispirata da Mister Fantastic. Piccole interviste, un piccolo diario di bordo per lasciare traccia dell’esperienza, per poterla raccontare, per poter capire meglio. Seduti su un piccolo divano ogni supereroe ci ha raccontato in maniera diversa il suo punto di vista, i momenti belli del cammino, i momenti brutti, l’avventura di quel difficile rito di iniziazione. Ma c’era un punto comune a tutti, identico, eppure profondissimo, densissimo: la cesura totale tra una vita di prima e il presente. Ognuno ci ha raccontato di un momento nel quale la vita è cambiata radicalmente. Il momento nel quale Peter Parker viene morso dal ragno radioattivo, quando il Dottor Rubert Bruce Banner viene esposto ai raggi gamma. C’è nelle loro vita un prima e un dopo.
Mister Fantastic segna il momento quando arrivarono i carabinieri e lo tennero lontano dalla sua famiglia per tre giorni. Lo minacciavano che non sarebbe più tornato a casa. “Prima facevo parte di un gruppo, la mia vita era un macello, era una brutta strada”. “Dopo quel giorno ho cambiato tutto, amicizie, contesti”. “Ora sono diverso. Voglio stare con la mia famiglia”. Per Donna Invisibile il momento è stato quando è entrata in comunità. “Avevo delle regole, degli orari, dei compiti. Prima non andavo a scuola, adesso ci vado. Prima non riuscivo a gestire la rabbia, adesso ho capito come fare”. “Ora sto bene. Voglio fare la barman. Mi piacerebbe. Sarebbe bellissimo”. Torcia Umana ha avuto un aiutante per prendere i superpoteri. Il suo Robin è il suo papà. “Pensavo di rimanere solo quando ho fatto quello che ho fatto. E invece c’è stato mio papà. Sempre, in ogni momento, accanto a me. Avvocati, tribunali, ovunque. Grazie a lui sono riuscito a cambiare”. “Adesso sono diverso, adesso ho capito tante cose”. “Lo faccio per me, lo faccio per lui”.
Quello che si impara
Le piccole e disastrate strade provinciali della Sicilia occidentale, piene di buche e abusi edilizi, senza segnali né strisce, possono essere bellissime se percorse a piedi, con calma. Conservano le tracce di conigli e istrici, volpi e falchetti. Si affacciano su panorami inediti, mai immortalati in nessuna cartolina. Sono bellissime anche se nessuno lo dice.
Durante la guerra pare che i soldati si abituino alla morte. Non fanno più caso ai morti, alla sofferenza e continuano a vivere, nonostante tutto. È lo stesso con la puzza dei piedi dopo quindici chilometri di cammino. Se ci pensi non la puoi sopportare, non pensi di sopravvivere. Poi, pian piano, ti entra dentro, assorbe ogni tessuto del tuo corpo, anestetizza i tuoi sensi. E infine continui a vivere, nonostante tutto.
Anche le autorevoli assistenti sociali dell’Ufficio dei Servizi Sociali del Ministero della Giustizia amano il buon cibo, sanno giocare a carte, si arrabbiano e russano la notte.
Da Maria Chiara impari che gli abbracci servono. Perché ti senti in famiglia, ti senti protetto, ti senti voluto bene, ti senti considerato. Gli abbracci sono importanti.
Queste esperienze ti cambiano la vita, dovrebbero farle tutti…ma non tutti possono, non tutti vogliono, non per tutti riusciamo a esserci. “Supponiamo adesso – scrive Elsa Morante – un individuo solo, davanti a un fabbricato in preda a un incendio. Attraverso una finestra aperta (unico adito accessibile, anche se rischioso) l’individuo scorge un bambino solo, che sta per essere investito dalle fiamme. L’uomo penetra nel vano e a proprio rischio salva il bambino. E sarebbe evidentemente un pazzo criminale, chi accusasse di avere commesso un atto antisociale e ingiusto, perché, nell’impossibilità di salvare gli altri abitanti del fabbricato, non ha lasciato bruciare vivo anche quest’unico bambino”.
Fine
La più severa della brigata era Carmen. Un po’ sergente, un po’ mamma. Una di quelle persone che sembra trattengano i sorrisi e i complimenti, così quindi quando li ricevi valgono di più. All’ultimo passo di cammino, voltatasi indietro a guardarci, ha detto: “per me il risultato è stato raggiunto, missione compiuta”.