venerdì, Novembre 22, 2024
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L’attacco alle cooperative

Castelvetrano: incendi nelle terre confiscate ai Sansone, amici di Riina. E’ solo uno dei casi. E intanto c’è chi vuole metterle all’asta

Castedduvitranu, Castelvetrano per i forestieri, è un comune siciliano di 30mi­la anime in provincia di Trapani, situato nel cuore della Valle del Belice. Il suo territorio è ospita le rovine di Selinunte. Per quasi trenta secoli le po­polazioni della valle si sono dedicate tenacemente all’agricoltura. Da qual­che tempo a que­sta parte, in­vece, tra di loro c’è chi prefe­risce darsi all’arte meno nobile dell’edili­zia sel­vaggia.

È così che la famiglia Sansone ha fatto una fortuna. Definiti dalla stampa “co­struttori” o “imprenditori edili”, i fratelli Gaetano e Giuseppe sono divenuti cele­bri per esser stati gli anfitrioni di Totò Riina, avendogli dato ospitalità durante gli ultimi anni della sua latitanza. Era loro la villa in Via Gianlorenzo Bernini n.54 a Palermo, dove “U curtu” venne stanato dagli uomini del Generale Mori e dal Capitano Ultimo.

Quella stessa villa che i carabinieri del Ros non perquisirono, permet­tendo a Cosa Nostra di recuperare l’archivio di Riina. Tra i picciot­ti che ripulirono l’appartamento ci sareb­be stato un altro membro della famiglia Sansone, Giovan­ni. Secondo quanto ri­portato dai maxi­pentiti Brusca e La Bar­bera, Giovanni era il responsabile della “squadra delle pulizie” che quel 15 gen­naio 1993, dai due piani della villa e dal­la stanza blin­data dove Riina nascondeva chissà quali segreti, fece sparire tutto.

Sostiene Brusca: “Poi Giovanni Sanso­ne mi raccontò che avevano tolto anche i più piccoli indizi… Tutto quanto era stato bruciato, la casa imbiancata, tolti anche i capelli dei bambini. E così noi ci chie­demmo: perché fanno questa pagliaccia­ta? Visto che lo sapevano già dove era la casa”

Tre Sansone quindi, i proprietari dell’appartamento (del quale Riina paga­va puntualmente l’affitto con assegni cir­colari) e l’altro, il cugino, l’“addetto alle pulizie”. Gli investigatori, alla famiglia Sansone, hanno confiscato un po’ di tutto e a più riprese: cantieri, ville, condomini e soprattutto terreni; ma anche un agritu­rismo, una palestra e persino un oleificio. Un patrimonio di centinaia e centinaia di miliardi di lire:

L’ elenco dei beni confiscati compren­de: 100 ettari di terreno agricolo; 124 ap­partamenti a Palermo; 21 villette; un complesso edilizio costituito da 47 mo­nolocali; 31 tra cantine, box, negozi ed uffici; 32 automezzi; partecipazioni azio­narie in 13 societa’ , soprattutto edilizie; depositi bancari per centinaia di milioni; crediti nei confronti di varie aziende.

Nel settembre ’95 il primo maxi-sequestro riguarda anche un centinaio di ettari di terreni che si estendono tra Ca­stelvetrano e Partanna. Quasi un unico oliveto, che attraversa intere contrade, Casabianca, Sergio Torre, Estaglio, dove si coltiva la pregiata oliva Nocellara del Belice. Tutte quelle proprietà, frutto del riciclaggio, della speculazione edilizia e del lavoro capillare di estorsione compiu­to dalla famiglia dell’Uditore di Palermo, sono state confiscate in via definitiva nel 2007 ed affidate all’associazione Libera. 100 ettari, per chi non lo sapesse, non sono una cosa da niente: un solo misero ettaro corrisponde a diecimila metri qua­dri. 100 ettari, la cifra a cui ammontano i territori sequestrati ai Sansone in provin­cia di Trapani, è un milione di metri qua­dri.

Il 12 aprile tra Castelvetrano e Partan­na fa caldo e tira un debole vento di sci­rocco. La temperatura di prima mattina è già alta, attorno ai 25 gradi. Quando i ra­gazzi della cooperativa Placido Rizzotto arrivano sul posto, prima a Seggio Torre, poi a Estaglio, trovano i campi avvolti in una coltre di fumo cinereo. Le fiamme si sono già quasi spente, ma si può sentire ancora il crepitare delle cortecce, lo scoppiettare dei rami. Una distesa d’erba bruciata si stende a perdita d’occhio, e l’odore, acre e pungente, di piante d’oli­vo abbrustolite penetra le narici. Al giallo del prato schiarito del sole si mescola ora il nero delle foglie. Centinaia di piante carbonizzate. Un incendio, divampato da numerosi focolai. Anzi, due incendi, scoppiati contemporaneamente, uno a pochi chilometri dall’altro. Coincidenza?

Libera è nata nel 1995, grazie a don Ciotti. La sua pri­ma battaglia condotta è una grande raccolta firme: in po­chi mesi un milione di persone sottoscri­vono la petizione popolare per una legge che re­goli l’affidamento a scopo sociale dei beni confiscati ai mafiosi. Dopo un anno la battaglia è già vinta: la legge 109 vie­ne promulgata il 7 marzo 1996, conclu­dendo il lavoro iniziato negli anni 70 da Pio La Torre. Davide Pati, della Presi­denza di Libera, si occupa proprio della gestione dei terreni confi­scati:

“I terreni vengono sequestrati su ordi­ne dell’autorità giudiziaria, in base alle indagini compiute dalla polizia, poi da quel momento il bene viene gestito da un amministratore nominato dal giudice, fino alla confisca definitiva, quando si conclude l’iter giudiziario. Una volta confiscato il bene, dalla fase giudiziaria si passa ad una amministrativa, che è di competenza dell’agenzia nazionale, la quale attiva tutto un processo di destina­zione che coinvolge sia uffici statali mi­nisteriali sia gli enti locali, per trovare la destinazione migliore per quel bene.”

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