Dagli amici mi guardi Iddio…
Dove non è riuscita Cosa nostra, potrebbe farcela lo Stato. Cosa nostra incendia e minaccia, lo Stato usa leggi inadeguate. Il caso Calcestruzzi Ericina
L’assalto delle mafie ai beni confiscati riempie molto spazio nelle storie antimafia, che spesso però restano non raccontate a sufficienza e bene: i beni sottratti al potere dei capi mafia e dei loro complici “colletti bianchi” continuano a non conoscere una completa stagione di riutilizzo.
Un bene confiscato oggi in Italia va incontro, da decenni, a un destino segnato, i quelli che non si leggono in nessuna norma, ma sono nei fatti determinati dagli stessi mafiosi spossessati. Le norme prevedono il riutilizzo ai fini sociali di queste proprietà, ma gli ostacoli sono così tanti che finisce con il prevalere il volere dei mafiosi e accade che un bene sottratto al loro controllo finisce col conoscere il declino. Come a voler dire che quel bene può essere produttivo solo se resta in mano mafiosa, e così il segnale è chiaro per tutti… solo Cosa nostra può vincere.
Gli ostacoli possono essere quelli che le stesse mafie riescono ad organizzare, o ancora possono essere rappresentati dalle lentezze burocratiche o dalle contraddizioni che nemmeno la migliore della legge riesce a cancellare.
In provincia di Trapani da questo punto di vista c’è tantissimo da raccontare. Tante storie: la storia dei 70 ettardi di Salemi che da decenni non vengono riutilizzati, quella degli uliveti confiscati tra Partanna e Castelvetrano che periodicamente subiscono incendi, quella della Calcestruzzi Ericina, una impresa confiscata alla mafia e che la mafia aveva deciso di far fallire, di fare chiudere.
A Salemi i terreni appartenuti al narcotrafficante mafioso Totò Miceli non producono nulla da anni. Il Comune di Salemi per tanto tempo ne ha tenuto il possesso non definendone però mai l’affidamento in gestione. Cosa ripresa nel contesto delle indagini “Salus Iniqua”, quella che ha portato al sequestro di beni contro l’ex deputato Pino Giammarinaro e il riavvio nei suoi confronti di un nuovo procedimento per l’applicazione della sorveglianza speciale. C’è una intercettazione riguardante l’ex sindaco Vittorio Sgarbi mentre chiede a un assessore il pensiero di “Pino” a proposito dell’assegnazione. Giammarinaro preferiva l’Aias, in corsa c’erano Slow Food e Libera. “Mai quel terreno lo darò a quelli di don Ciotti”, disse Sgarbi.
Da poco tempo l’agenzia nazionale dei beni confiscati si è ripresa quei 70 ettari, le procedure di assegnazione sono ripartite daccapo, e su questi terreni continua a non crescere nulla.
Di recente c’è la storia di terreni di Castelvetrano e Partanna. Uliveti pregiati.
Qui si potrà raccogliere, quando sarà possibile, la famosa oliva nocellara del Belice. Intanto però si ripuliscono i terreni dalla cenere dell’ultimo dei roghi qui accesi. E’ accaduto poche settimane addietro, ai primi di giugno.Nello stesso giorno in cui il coordinatore provinciale di Libera, Salvatore Inguì, doveva andare a firmare al Comune di Partanna il protocollo per avviare la pubblicazione del bando per l’assegnazione dei terreni, un incendio ha parzialmente distrutto quegli uliveti.
I vigili del fuoco sono venuti a dire che la prova del dolo non c’è, ma di casualità e coincidenza ce ne è tanta da far pensare davvero male.
Intanto i due terreni non sono limitrofi ma distano parecchi chilometri: è vero quel giorno c’era forte scirocco, ma a prendere fuoco sono stati solo i terreni confiscati, in nessun altro uliveto il caldo ha fatto danno.
Altra coincidenza: questi poderi rientrano nei terreni che portano il nome di Rita Atria, la ragazza di Partanna suicidatasi 20 anni fa, sconvolta dalla strage di via D’Amelio.
“Le terre di Rita Atria” sono le terre dove è previsto vengano a lavorare le cooperative giovanili che potranno partecipare al bando non appena verrà pubblicato. Per arrivare alla pubblicazione di questo bando sono passati anni, riunioni interminabili, in prefettura a Trapani, nei Comuni di Partanna e Castelvetrano, sembrava un traguardo difficile da raggiungere, e invece quando si è stati li per li per firmare l’accordo, ecco l’incendio, come se qualcuno mandasse a dire che “siamo sempre presenti”.
La Calcestruzzi Ericina è quella che poi riempie questo “palcoscenico” con la sua storia, con la vicenda di quel prefetto di Trapani dimenticato dallo Stato, Fulvio Sodano. Confiscata al mafioso Vincenzo Virga, Cosa nostra trapanese aveva deciso che doveva fallire: ma non fallì. Grazie a Sodano rimase sul mercato e venne riconvertita. Formidabile l’aiuto dato da don Ciotti che convinse Unipol Banca a concedere un affidamento.
Oggi la Calcestruzzi Ericina non produce solo calcestruzzo, ma è in grado di riciclare inerti provenienti dall’edilizia, può produrre la materia prima che serve per fare il calcestruzzo. Ora si chiama Calcestruzzi Ericina Libera, è tornata sul mercato, è gestita dal giugno 2011 da una cooperativa costituita da 13 operai, quegli stessi operai che la mafia voleva vedere disoccupati.
Tutto bene ? No. C’è una legge che impedisce alla Calcestruzzi Ericina Libera di potere attingere ai fondi per le imprese confiscate. Chi ha scritto quelle norme ha dimenticato che i beni aziendali mai possono essere del tutto recuperati con i fondi pubblici quando questi fondi pubblici vengono fatti gestire in modo esclusivo dalle amministrazioni locali.
Questi sono i finanziamenti che passano attraverso i Pon, soldi pubblici che vengono gestiti dai Comuni o dai consorzi di Comuni che però possono occuparsi di tutto tranne che di beni aziendali.