sabato, Novembre 23, 2024
-rete--ultimora-Le scarpe dell'antimafia

Randazzo. Beni confiscati ancora nelle mani della mafia

Basta dire “u Ciccu” a Randazzo, comune della provincia di Catania alle pendici dell’Etna, e capiscono tutti. È una zona del paese. Porta il nome di Francesco Rosta, boss della famiglia mafiosa legata al clan Laudani. 

Proprio lì, ufficialmente “località Pendinello”, ci sono gli unici beni interamente confiscati alla mafia nel Comune di Randazzo. Tre terreni e un fabbricato rurale,  più di quattro ettari. I beni sono stati sequestrati nel 2016 e confiscati definitivamente nel 2017 proprio a Francesco Rosta. Erano stati messi a bando dall’ Agenzia Nazionale per i Beni Confiscati, nel 2020, per essere assegnati ad associazioni e cooperative ma nessuno ne ha fatto richiesta. Lo scorso 6 dicembre 2022, durante una conferenza dei servizi presso la Prefettura di Catania, l’Agenzia ha tentato di trasferire questi e altri beni ai comuni della provincia. Il Comune di Randazzo ha però deciso di non acquisirli al patrimonio comunale. 

Sabato 30 settembre la carovana delle Scarpe dell’antimafia organizzata da Siciliani giovani e Arci Sicilia è arrivata a Randazzo. In piazza Loreto si è tenuta un’assemblea pubblica per denunciare le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni e per denunciare la malagestione dei beni confiscati. A Randazzo si è insediata da mesi la commissione prefettizia per valutare lo scioglimento del Comune per mafia. Nessuno del pubblico è voluto intervenire.

Abbiamo dormito a Randazzo. La mattina dell’1 ottobre ci siamo svegliati presto. L’aria frizzante, il cielo terso, la cima dell’Etna sembrava si potesse toccare, uno sbuffo di fumo dal cratere centrale. Ci siamo messi al computer, abbiamo incrociato i dati catastali dei beni confiscati con le mappe. Foglio 53, particella 30. Accanto alla fungaia. Foglio 67, particella 595. Poco più avanti, lungo la via Torre. Appuntamento in piazza San Pietro, si parte. Ci sono le ragazze e i ragazzi dei Siciliani, dell’Arci, alcuni coraggiosi ragazzi di Randazzo. Si unisce anche Alfio Mannino, Segretario generale siciliano della Cgil. Una carovana di auto, aperta dal furgoncino della Geotrans, azienda confiscata alla mafia, adesso cooperativa gestita dai lavoratori. Arriviamo alla fungaia, parcheggiamo. L’immobile confiscato è a qualche metro, su una strada sterrata senza sbocco. Arriviamo, c’è un recinto. Dentro alcuni cani. Un pitbull tenta di spaventarci. In parte ci riesce. Torniamo indietro, prendiamo la macchina, passiamo davanti. L’immobile confiscato da sei anni è ancora occupato. Continuiamo in direzione del terreno. Sulla destra andando verso “il bivio di quota mille” – lo chiamano così – dove c’è l’abbeveratoio. Arriviamo all’altezza del punto segnato sulla nostra mappa. C’è un cancello con una catena e un catenaccio aperto. Dentro una costruzione ben messa e nel terreno tanti animali. Mucche, cavalli, cani. Le mucche hanno le marche gialle attaccate alle orecchie. Sembra una fattoria funzionante, non certo un terreno occasionalmente occupato dal pascolo. 

I racconti degli abitanti di Randazzo sulla mafia dei pascoli che agisce nella zona sono agghiaccianti. Un dominio assoluto, assicurato dalla violenza. Rosta, Sangani, Ragaglia sono i nomi delle famiglie coinvolte nelle inchieste degli ultimi anni. Ma il territorio, nonostante gli arresti, sembra essere ugualmente sotto il loro assoluto controllo.

All’abbeveratoio facciamo inversione. La stazione dei carabinieri dista appena qualche minuto. Raccontiamo quello che abbiamo visto. Dicono che manderanno subito una pattuglia per verificare. Nello stesso momento mandiamo una segnalazione ufficiale al Questore, al Comando Provinciale dei Carabinieri, al Prefetto, alla Procura. Poi all’Agenzia Nazionale per i beni confiscati.

Si riparte verso Palagonia, assemblea davanti al Municipio con il circolo locale dell’Arci. Il Comune è stato sciolto per mafia. Poi negli agrumeti di Contrada Alcovia. Due anni fa avevamo denunciato la loro occupazione abusiva da parte della famiglia mafiosa che aveva subito la confisca. Adesso sono gestiti da una cooperativa di LiberaTerra, che rispetta i contratti e i diritti di chi lavora.

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