mercoledì, Novembre 27, 2024
Altri Sud

Kurdistan, genocidio dimenticato

SECONDA PARTE

Tra le vittime di una persecuzione senza tempo nell’Iraq devastato dalla furia di Daesh

Foto di Giorgio Barberini

(Suleima/ Una martire kurda/ Incontro con il Pade, il partito ezida/Icontro con il Taje, l’associazione delle donne/ Il museo di Baghdad).

Il cimitero dei martiri “Shahid Lak”

Visitare il cimitero dei martiri “Shahid Lak” è un passaggio ne­cessario se si vuole essere catapultati nella realtà della popola­zione ezida di Shengal. Camminando tra le tombe di questo luogo, costruito tra le bellissime montagne di questa zona, si coglie immediatamente che questa follia, che produce morte tra la popolazione ezida, sta mietendo vittime tra le/i combattenti appartenenti alla generazione dei nati negli anni ’90. “ Vedete quelle due tombe, una vicina all’altra – racconta Ismail, il no­stro accompagnatore – Conoscevo bene uno dei due combatten­ti e lo stimavo. Aveva ventinove anni quando è stato ucciso da un drone lanciato dal governo turco. Vicino a lui, nell’altra tomba, giace suo fratello, ucciso dallo stesso drone. Aveva di­ciannove anni. Due figli strappati ai loro genitori”.

Incontro con il Taje e con Yazidi Women’s Support As­sociation

Incontriamo il Movimento per la Libertà delle donne ezide, “Taje”, movimento costituito dopo il massacro dell’Isis per dare dignità e speranza all’indomani del dramma subito.

“Vogliamo far comprendere a tutta la nostra comunità – ci dice Hana – i valori della libertà e della democrazia, che sono i valo­ri del confederalismo democratico. Ci auguriamo che tramite voi, la nostra voce possa raggiungere il mondo intero.

Durante l’invasione dell’Isis – continua la portavoce – i soldati iracheni e i peshmerga di Barzani, che si erano assunti il com­pito di proteggerci, sono fuggiti davanti all’invasore, lasciando­ci soli. Per questo non ci fidiamo più di nessuno. Sia­mo stati abbandonati a noi stessi e la parte più colpita è stata quella del­le donne.

Fino al 2014, la vita delle donne dipendeva dagli uomini, ma dopo essere state rapite, vendute e stuprate dall’Isis, abbiamo deciso di imbracciare le armi per difenderci ed abbiamo libera­to molte donne ezide prigioniere. E’ la conseguenza della follia della guerra e delle sue atrocità.

Il genocidio continua perché a molti abitanti viene impedito di tornare a Shengal e vivono tuttora in tende nei campi profughi. Dal 2014, circa il 70% della popolazione è fuggita, molti non sono tornati, vittime di una strategia da parte, da un lato, del governo turco e dall’altro, del governo regionale del clan Bar­zani.

Al dramma delle donne rapite e violate, si unisce il dramma dei bambini nati da questa violenza, bambini senza colpa, ma con un destino già segnato, in quanto non vengono accettati dalla comunità”.

Nel pomeriggio, incontriamo l’associazione di supporto delle donne ezide. Si chiama “Yazidi women’s support association”. Dispongono di un’accademia, di una scuola per ragazze dove s’insegna a leggere e a scrivere e di una scuola di sartoria.

Sono in costante contatto e si coordinano con l’associazione Taje.

Particolarmente agghiacciante la testimonianza di Elhams: “Ho incontrato una donna che era stata rapita con il figlioletto da Daesh. Lei aveva deciso di non nutrirsi fintantoché non le aves­sero fatto rivedere il figlio. La cosa durava da parecchio tempo. Un giorno, i miliziani che la tenevano prigioniera le dissero che le avrebbero portato suo figlio, ma lei doveva riprendere a mangiare. Cosa che avvenne, infatti le portarono in pasto il fi­glio cucinato. La donna impazzì e, dopo la sua liberazione, scomparve. Non si sa che fine abbia fatto”. Elhams ci dice che questo non è un caso isolato.

L’incontro con le YBS/YJS

Il nostro programma termina con l’incontro con le unità di dife­sa ezida (YBS/YJS), maschili e femminili.

Sono presenti un uomo e una donna che ci parlano dell’odierna situazione.

“Se vuoi proteggere la tua comunità – così inizia il comandante delle YBS – lo devi fare in prima persona. Così è nata lo voglia di formare un’unità di difesa al posto di quelli che ci hanno ab­bandonati e traditi”.

Le migliaia di persone che compongono le due unità di difesa sono tutti volontari ed hanno medesimi obiettivi, la stessa cul­tura e la stessa lingua.

Incontro con il Pade (Partiya Azadi’ u Demugratiya Ezi­dya)

Incontriamo alcuni membri del Pade, il partito ezida della liber­tà e della democrazia, nella loro sede di Sinun, a Shengal.

Tiene l’incontro Selemanhji, un responsabile del partito: “Il partito è nato nel 2016, dopo il genocidio, causato dall’abban­dono di 25 mila milizie irachene e 15 mila peshmerga allora presenti e che avrebbero dovuto difendere i civili dagli attacchi dell’ISIS ai villaggi.

Il Pade risponde alle necessità della popolazione con l’obiettivo di fornire i servizi essenziali (come strade, linee elettriche, ecc) e diffondere la democrazia a livello di base.

Prima del genocidio, la popolazione di Shengal era composta da 500 mila persone, ma, subito dopo, 100 mila sono fuggite in Europa, 350 mila si sono rifugiate nei campi profughi del Kur­distan del nord e 5 mila sono rimaste in montagna.

Sono sei anni che ci siamo liberati dall’ISIS, ma la gente che si trova ancora nei campi profughi, difficilmente riesce a tornare, perché spesso bombardano i campi profughi per spaventarli e scoraggiarli a fare ritorno. L’obiettivo è quello di dividere e di­sperdere la comunità.

Le persone massacrate dall’ISIS – continua – sono state circa 5 mila tra uomini, donne e bambini, mentre le donne rapite sono state tra le 6.500 e 7.000. I profughi sono stati 350 mila.

Gli attuali abitanti in questa parte del Monte Shengal, catena montuosa lunga un centinaio di chilometri che divide a metà il nord e il sud, sono 130 mila, mentre dall’altra parte della mon­tagna sono 230/250 mila.

Quindi, devono ancora rientrare circa 100/120 mila persone”.

Continua: “La realizzazione dell’autonomia non ha ancora rag­giunto il 100%, attualmente è intorno all’80% e le questioni tuttora aperte sono sia economiche che politiche. La causa è dovuta al fatto che gli articoli della Costituzione irachena ri­guardanti l’Autonomia non sono ancora del tutto rispettati. An­che l’accordo del 9 ottobre 2020, riguardante la regione, siglato tra il governo regionale e quello centrale iracheno, in coordina­mento con le Nazioni Unite, senza però alcun coinvolgimento dell’Autonomia di Shengal, ostacola la realizzazione del pro­gramma e il rientro della popolazione”.

Il gruppo dirigente del partito Pade è formato da 101 persone votate in ogni villaggio.

“Associazione verso il Kurdistan”
Per contatti:
Antonio Olivieri tel. 335 75 64 743

 

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