Processo Ciancio: il Comune scappa via
“Non vedo, non sento e non parlo”. Il Comune di Catania “si dimentica” di mandare l’avvocato.
“E per il Comune l’avvocato Barbagallo, assente”. Con queste parole il Giudice Roberto Passalacqua ha preso atto della scelta del Comune di Catania di non partecipare all’udienza e di non svolgere l’arringa finale in qualità di parte civile nel processo contro Mario Ciancio, imprenditore ed editore de La Sicilia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Il Comune, tramite il suo legale, avrebbe forse avuto qualcosa da dire sul danno provocato dal potere mafioso alla città. Avrebbe potuto esprimere un parere su quanto i Pubblici Ministeri raccontano sulle amicizie con esponenti di Cosa Nostra. Avrebbe potuto addirittura chiedere un risarcimento in denaro per il danno procurato alla città. Ma la parola “Ciancio”, per i vicerè cittadini, è una parola vietata. Vietato anche solo nominare la borghesia mafiosa che da cinquant’anni spolpa Catania.
Perciò, silenzio”. Non vedere, non sentire, non parlare. Men che mai allinearsi – nonostante la formale costituzione di parte civile – ai magistrati che chiedono la condanna del signore della città.
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Catania in questo momento non ha un Sindaco, ammesso che ne abbia davvero avuti in passato. A decidere il silenzio in aula, la fuga della rappresentanza civica davanti ai magistrati, è stato dunque un commissario della Regione, il dottor Piero Mattei. Con una sua carriera di vertice alle spalle, addirittura – temporibus illis – commissario antimafia a Rggio Calabria. Si vede che gli anni passano, o che l’aria dell’Etna induce a un dolce sopore. Oppure – come diranno domani – che non l’hanno informato, che i funzionari dormivano, che “ah, l’avesse saputo!”. La pezza, si diceva una volta, peggiore del buco.
A difendere Catania offesa in tribunale restavano Goffredo D’Antona per la famiglia Montana, Enza Rando per Libera e Dario Pastore per l’Ordine dei Giornalisti. Loro, cittadini avvocati, hanno avuto il coraggio di parlare.