La fossa degli ultimi
Catania. A San Berillo in una fossa vivono uomini, donne, bambini. Sarà presto sgomberata nell’ultimo atto del “risanamento” del quartiere, cominciato (male) negli anni del boom economico e edilizio catanese
Dall’alto sembra un formicaio. Dal marciapiedi, di quel corso, te ne accorgi guardando attraverso un buco nel consunto muro di cinta. Osservando attentamente, ti rendi conto che è solo un malsano vuoto urbano. Dal quel buco nel muro di recinzione che costeggia il marciapiedi di corso Martiri della Libertà, nella città di Catania, noi entriamo. Quel luogo, quella fossa, è abitata!
Scendendo nella fossa si perdono i fragori urbani e si ascolta uno strano silenzio.
A vivere in quella fossa saranno una trentina fra uomini, donne e bambini, ma anche qualche anziano, riuniti in nuclei familiari. Insomma, ci rendiamo conto, questa è una comunità sociale.
Scendiamo e ci accorgiamo delle prime baracche.
Uguali, tutte uguali, come uguali sono le baracche nelle periferie del mondo.
Lamiere ondulate arrugginite dal tempo, bancali e cartelli pubblicitari, che fino a ieri inneggiavano al consumismo, oggi coperture di povere baracche, e poi, tanto, ma tanto cartone.
Ora capiamo quel silenzio, ora sentiamo quel silenzio: è quello della povertà!
È il silenzio degli ultimi!
Ci vengono incontro i bambini, in un momento ricordo: sembra una scena gia vissuta… Guatemala, zócalo del villaggio di Sololà, tanti bambini, e tutti sorridenti e con le mani aperte.
In questa fossa urbana i bambini sorridono, ma le mani sono chiuse strette in un pugno.
Con loro, due uomini ci vengono incontro: “Sono il signor Romeo, della chiesa cristiana evangelica pentecostale del quartiere di Picanello. Veniamo spesso a portare solidarietà, conforto e qualche aiuto concreto, e voi chi siete?”
Non abbiamo il tempo di rispondere, perché l’altro uomo interviene.
Parla un italiano stentato con un accento slavo: “Mi chiamano Bobi, e sono un po’ il portavoce di questa comunità, veniamo tutti dalla Bulgaria. Tanti come voi vengono qui a curiosare, a cercare storie per far piangere telespettatori e lettori, a far promesse che non manteranno mai! Venite a far fotografie, a riprenderci con le telecamere, venite a rubarci la nostra dignità con le vostre menzogne scritte e filmate. Cosa volete da noi? Non vi permettiamo di fare altre foto!”
Si, abbiamo capito, sappiamo che quel che dicono è la verità, ma tentiamo comunque di spiegare: “È vero, vogliamo ascoltarvi e raccontare la vostra storia, vogliamo denunciare l’ingiustizia che si consuma in questo posto. Vogliamo sapere se siete già informati che nel prossimo autunno inizieranno i lavori per il recupero di questo spazio, che amministratori e imprenditori definiscono come la conclusione del tanto atteso, risanamento di San Berillo…”
Sia il signor Romeo che Bobi ci guardano, ed insieme affermano di non sapere nulla, che nessuno tranne noi li ha informati, e che comunque sapevano che prima o poi sarebbe successo.
Poi aggiungono: “per la modernità e il progresso qualcuno deve essere calpestato, e adesso tocca a noi.”
Di fronte a tanta rassegnazione non sappiamo più cosa dire. Salutiamo e cominciamo a risalire verso la cima di quella fossa, verso quel buco che ci riporta verso “la civilizzazione”.
Ma ci piace immaginare i volti di quegli uomini, di quelle donne e quei bambini, che ci guardano mentre saliamo.
Forse il loro sguardo mostra rabbia e povertà, ma anche tanta dignità…
Adesso vi chiediamo di fermare il vostro sguardo su questa immagine. Poi facciamo un salto nella storia del quartiere di San Berillo e di questa città.