Duecentocinquanta milioni per i beni confiscati
Si può fare la storia. A condizione che…
La villa sul mare di Palma di Montechiaro, confiscata a chi intrallazzava con gli appalti pubblici, potrà diventare un centro di accoglienza per minori. Il palazzo confiscato alla mafia di Favara potrà essere trasformato in un centro antiviolenza. Le case del boss Maurizio Zuccaro potranno diventare asili nido per i bambini catanesi. Gli appartamenti confiscati al mandamento di Ballarò potranno essere dati a chi è senza casa, potranno diventare case rifugio. Adesso i soldi ci sono. L’Agenzia per la coesione territoriale del Governo ha finalmente pubblicato un bando per consegnare duecentocinquanta milioni di euro del PNRR, finanziato dall’Unione Europea, al recupero dei beni confiscati alla mafia.
Per un mese con un camper sgangherato abbiamo girato la Sicilia, per raccontare le storie dei beni confiscati. Quelle belle e quelle brutte. Quelle dei coraggiosi che trasformano i beni confiscati in bellezza e quelle dei mafiosi che continuano a occupare, o distruggono, le case confiscate. “Vogliamo i soldi dei mafiosi” abbiamo detto e gridato in decine di piazze siciliane, ai tavoli istituzionali, nelle assemblee con decine di associazioni e cooperative. Adesso i soldi ci sono. Quelli del Piano Nazionale di ripresa e resilienza, finanziato dal programma Next Generation dell’Unione Europea.
Duecentocinquanta milioni di euro per progetti di ristrutturazione, rifunzionalizzazione o anche demolizione e ricostruzione di beni confiscati alla mafia, “per la restituzione alla collettività e il reinserimento di tali beni nel circuito legale dei territori di appartenenza”. Progetti su beni collocati al sud -Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia- , dove complessivamente i beni confiscati destinati dall’Agenzia Nazionale ad enti statali sono quasi quindici mila. Settemila solo in Sicilia.
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Ogni progetto non dovrà costare più di due milioni e mezzo di euro. Il bando, a quanto pare, per i beni confiscati non prevede sostegni alle attività ma solo sistemazione e ristrutturazione: un limite giustamente criticato da Libera e e dal Forum del Terzo Settore. Il bando infatti è indirizzato solo agli enti pubblici, che spesso (soprattutto i comuni) non saprebbero come e con che cosa far funzionare i beni in questione.
La scadenza del bando, inoltre, è prevista per il prossimo 24 gennaio 2022, ad appena tre mesi dalla pubblicazione. Neanche questo va bene. Si può dare così poco tempo ai piccoli comuni del meridione, che mancano di mezzi e di personale, per affrontare una sfida tanto grande e tanto decisiva? Come si può coinvolgere la popolazione in così poco tempo? Dei tempi così stretti non impediranno di presentare progetti adeguati, o anche di presentarli del tutto? Il buon senso vorrebbe che si allungasse di qualche settimana la scadenza.
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A parte ciò, questi duecentocinquanta milioni di euro destinati ai beni confiscati rappresentano una vittoria: di tutti i cittadini democratici ma soprattutto di quelli che ci siamo battuti in prima fila per queste cose. Destinare questi soldi per prima cosa alla realizzazione di case per i senza tetto, asili nido per i bambini, centri antiviolenza per le donne, spazi sociali per la collettività, è una vera rivoluzione, e noi con orgoglio la rivendichiamo. Ma senza dimenticare le critiche, e sempre vigilando con attenzione.
È ora che i Sindaci di tutto il sud indossino “le scarpe dell’antimafia”. L’esempio di Arci e Siciliani, della campagna popolare di quest’estate, dev’essere un modello per tutti.