La mafia fa terra bruciata
Belpasso, Borgo Sabotino, Castelvetrano, Mesagne: terre confiscate alla mafia e recuperate faticosamente dalle cooperative. E la risposta della mafia è appiccare il fuoco
Aria calda, l’odore dell’erba secca bruciata entra nelle narici portato da un venticello che mitiga quell’aria. Ci troviamo in contrada “Casa Bianca”, comune di Belpasso, qui c’è un agrumeto confiscato alla mafia e più precisamente alla famiglia Riela, che fa capo alla cosca Ercolano Santapaola.
La cooperativa agricola dedicata a Beppe Montana, ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985, ha avuto in consegna l’agrumeto e con molti sforzi e qualche risultato incomincia a lavorare. Promuovere il lavoro nei campi agricoli confiscati alla mafia è importante perché crea economia, impiega giovani disoccupati e dà una dignità sociale a tutti noi che crediamo che la mafia va combattuta colpendola nella sua economia.
Nel fine settimana fra l’otto e il dieci giugno una parte dell’agrumeto è andato a fuoco. Le cause non sono state accertate, ma i componenti della cooperativa “Montana” sospettano che dietro ci sia una strategia mafiosa.
Sospetti non del tutto infondati visto che, nello stesso fine settimana, altre aziende agricole confiscate alla mafia hanno subito degli incendi dello stesso tipo: Borgo Sabotino (Latina), Castelvetrano (Trapani), Mesagne (Brindisi). Mesagne dove abitava Melissa Bassi, studentessa uccisa nella strage del diciannove maggio, dove risiede una delle cooperative di “LIBERA TERRA” e, cosa più importante, luogo di origine della “sacra corona unita”, dove risiede uno dei più importanti capi cosca.
La società civile catanese non è stata indifferente a questo episodio e, pur non avendo certezza che l’incendio sia stato provocato dalla mafia, ha voluto portare la sua solidarietà alla cooperativa “Montana” in un incontro avvenuto domenica diciassette giugno presso il campo confiscato. Tutte le organizzazioni hanno preso la parola, da Pax Christi all’AMPI, alle associazioni antiracket ai gruppi scout della provincia di Catania e a quelli di Treviglio di Bergamo, che soggiornano qui per un campo di lavoro estivo per conoscere la realtà di questa cooperativa.
L’unico intervento stonato è quello dei “giovani democratici” catanesi che hanno detto parole di legalità e contro la mafia dimenticando che da qualche anno il loro partito è alleato con quello del Presidente Lombardo, indagato per concorso esterno.
Per cercare di chiarire ciò che è successo abbiamo chiesto una breve intervista ad Alfio Curcio, uno dei responsabili della cooperativa “Beppe Montana”.
Cosa vi porta a pensare che sia un attentato di tipo mafioso?
Al momento nessuno di noi sta ipotizzando la matrice, ma di certo mi viene difficile pensare all’autocombustione. Non solo, fino a qualche anno fa su quei terreni c’era letteralmente una giungla e non è accaduto nulla. Oggi, dopo gli enormi sacrifici compiuti per riportalo produttivo, ci capita l’incendio. Tra l’altro, proprio l’incuria di chi doveva vigilare su quei terreni ha fatto si che oggi qualsiasi attività colturale è complicatissima per la natura del terreno. Si tratta di un terreno tutto pietre di fiume e, non essendo stato smosso da decenni, ce ne vorrà di tempo per poterlo zappare a regola d’arte.
Gli altri attentati, pura coincidenza o precisa strategia?
Non credo ad una strategia, semmai credo ad un effetto scimmiottatura.
Cosa chiedete alla istituzioni preposte affinché questo non si ripeta?
Maggiore controllo, e fare in modo che i riflettori non si accendano solo in momenti come questi.
Non pensate che un maggiore coinvolgimento della società civile possa evitare che si ripetano questi incidenti? Questo, in fondo, è un buon percorso politico…
Sicuramente il coinvolgimento della società civile ci rafforza ma non è sufficiente, ogni attore deve fare la sua parte.