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La politica italiana

Il duce del fascio, dismesse le felpe grigie e le camicie nere, sale le scale del Re col vestito buono a presentargli i suoi onorevoli ministri…

E’ dal 25 luglio 1943 che non si vedeva un ministro fascista nel governo italiano: una lunga astinenza, per l’Italia, ma finalmente è finita. I fascisti di oggi, naturalmente, non sono affatto fascisti, si chiamano leghisti, sovranisti o in qualunque altro modo gli piaccia di farsi chiamare; non mandano ai campi gli ebrei e sono rispettosissimi di leggi, regolamenti e cravatte buone. Abbiamo quindi gli alibi per “italiani brava gente” anche stavolta. Fascisti c’erano prima ma ora, grazie al cielo, non ce n’è più. Ma quando mai ce ne sono stati? Anche allora, in Italia, non se ne trovava uno manco a pagarlo a peso d’oro, del che onestamente si stupivano americani e inglesi: “But where have all the Italian fascists gone?”,Noi italiani, da sempre, sappiamo ballare benissimo, cambiare faccia e movenze secondo la musica del momento.

 

Però non prendiamoci in giro, almeno fra te e me, mio caro concittadino: fascisti eravamo e fascisti siamo, non tutti ma almeno quel venti per cento che basta per segnare un popolo.  Gli ebrei non puzzano più (come insegnavamo ai bambini sui sillabari) ma i negri sì eccome. Non c’è più la congiura demoplutomassonica, ma il complotto dell’Africa che invade c’è eccome.. Bambini consegnati alle Ss, non più; ma neonati affogati in mezzo al mare (sempre per non farci invadere), quella è un’altra cosa. E la colpa di chi è? Di nessuno. Perché appunto, a far data da ieri, fascisti non ce n’è più e il duce del fascio, dismesse le felpe grigie e le camicie nere, sale le scale del Re col vestito buono a presentargli i suoi onorevoli ministri. E questa è la politica italiana.

Ma poi, non è questione di politica, almeno non principalmente. Intanto perché tutti i vari governi Monti, Letta, Renzi, Conte o Menabrea governavano solo fino a un certo punto; il governo reale era l’Agnelli-Benetton-Ciancio e compagnia, che non era soggetto a crisi nè a elezioni. Eppoi perché che anche così, con la democrazia ridotta a un fastidio e la costituzione mai tradotta in leggi, questo era un paese profondissimamente e sostanzialmente democratico, nel senso che le decisioni essenziali, in ultima analisi, seguivano se non il cuore o il cervello quantomeno la pancia del venti per cento peggiore del popolo italiano che spesso, per inerzia degli altri, fungeva praticamente da maggioranza. Così, in Alabama o a Monaco, “Impicchiamo quel negro!” o “Città libera dagli ebrei!” non erano un capriccio di pochi ma una volontà collettiva, una Forza del Popolo, una forma barbarica di democrazia. E il “like” della signora perbene, coi suoi bravi gattini nella pagina, che plaude al cadaverino del bimbo o al rovesciamento del barcone è – a modo suo e perversamente – il voto di una cittadina “democratica”, il sassolino nell’urna, l’aeropago popolare che ha deciso “Sterminiamo i Melii!”.

Perciò non sono pochi i colpevoli, non c’è un tiranno rovesciato il quale tutto ritorna umano. Il male è più profondo. E’ più difficile da vedere – per noi che ci viviamo dentro: ma i posteri ce lo rinfacceranno freddamente – e chiede più coraggio per essere combattuto.

 Adesso, in una delle tante crisi “politiche” del nostro Paese – una delle più miserabili, proprio da banalità del male – è forte la tentazione di affrontarla con l’ironia che merita, coi toni della satira e dello scherno. “Ma al palazzo ora c’è l’altro suocero di Mubarak?”. Ma non è il momento. E’ meglio ricordare le poche semplici cose, in parole banali, da lasciare ai ragazzi ora, fra la pestilenza delle anime e quella dei corpi, in questo come in altri momenti di smarrimento nazionale: “Fa’ quel che devi, avvenga quel che può”.

Nel nostro Paese, nelle città, nel più sperduto paesino, noi teniamo il tratto di fronte che ci è assegnato – l’antimafia. Combattere i mafiosi, sgretolare i sistemi piccoli e grandi di potere, denunciare – come ora – le loro ruberie sui beni comuni, anche quelli confiscati, proporre responsabilmente rimedi radicali (confiscare anche i capitali illegali, non solo i beni, e usare i primi per gestire socialmente i secondi), in fiduciosa solitudine ma sapendo che alcuni giovani risponderanno.

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