Maniaci peggio dei boss mafiosi?
Un paradosso che va avanti da quattro anni
Undici anni e sei mesi. È questa la richiesta di condanna per Pino Maniaci, avanzata oggi in tribunale dall’accusa, rappresentata dalla pm Amelia Luise. Una requisitoria, la sua, che sembrerebbe non aver tenuto conto delle passate udienze, durante le quali è stato di fatto demolito il castello di accuse messo in piedi dalla Procura. A dirlo, in un’intervista a Telejato, è l’avvocato Antonio Ingroia, difensore insieme a Bartolomeo Parrino del giornalista: “Sembra che il pubblico ministero non abbia seguito il processo – ha commentato a caldo – tutti gli elementi di accusa si sono sbriciolati durante l’esame dibattimentale. Questa richiesta di condanna mi pare veramente sproporzionata, sono pene che si comminano ai capimafia”. Dello stesso avviso il collega Parrino: “Mi sembra talmente alta da mostrare una debolezza”.
Pino Maniaci alla redazione di Telejato –
foto Pietro Marino
Le accuse per Maniaci sono di diffamazione nei confronti di tre persone, e di estorsione nei confronti di Gioacchino De Luca, allora sindaco di Borgetto, e Salvo Lo Biundo, anche lui ex sindaco ma di Partinico. Ai questi ultimi due, il giornalista avrebbe chiesto una somma di denaro in cambio di una linea più morbida nei loro confronti all’interno del suo tg. L’aggravante della mafia non c’è. Era il 2016 quando gli venne notificato un divieto di dimora nelle province di Palermo e Trapani, nell’ambito di un’operazione antimafia denominata “Kelevra”, che aveva visto andare in carcere alcuni mafiosi locali. Il volto di un cronista che ha dedicato e continua a dedicare tutte le sue energie alla lotta contro la mafia e ogni tipo di malaffare, per la prima volta veniva accostato a quelli di una serie di personaggi della criminalità organizzata che lo stesso Maniaci, in diversi suoi servizi, aveva più volte denunciato e attaccato. La sua posizione venne poi stralciata nella fase preliminare per essere affidata al giudice monocratico Terranova, mentre per gli altri indagati si aprì un processo a parte. Ma intanto il paradosso era andato in scena: il giornalista venne allontanato dalle province di Palermo e Trapani, con tanto di video dato in pasto alla stampa, in cui si vedeva lo stesso mentre si faceva consegnare la somma di 366 euro dall’allora Sindaco di Borgetto, Gioacchino De Luca. Un passaggio, questo, che è stato a lungo analizzato nel corso dell’udienza dello scorso 25 febbraio, durante la quale era stato chiamato a testimoniare il perito informatico di parte Francesco Di Gesù. Il consulente aveva commentato le anomalie riscontrate nel video in cui si vedeva Maniaci prendere soldi dall’ex sindaco De Luca, mettendo a confronto il filmato con quello estratto dagli atti processuali, cioè l’originale. Interrogato dai legali della difesa, Di Gesù aveva spiegato che probabilmente chi ha montato quel filmato ha separato alcune tracce video dalla traccia audio, perché “ritroviamo delle frasi che si trovano nel video integrale in una certa posizione, quando ci sono tre persone all’interno della stanza. Quelle frasi – aveva spiegato in aula – nel video fornito dai media le ritroviamo quando nella stanza ci sono solamente due persone”.
Una manipolazione? Forse. Ma ancora più curiosa è la presenza di una terza persona nel video originale, che invece scompare nel video che è stato reso pubblico. Questo terzo uomo, di cui non si sa nulla, secondo il perito informatico “sta qualche minuto, ascolta la conversazione e poi esce dall’inquadratura ma non sappiamo se esce dalla stanza”, perché, come ha chiarito l’informatico rispondendo alle domande dell’avvocato Ingroia, “si sente la porta che si apre quando lui entra in campo ma non si sente la porta che si chiude quando lui esce dal campo”. Dunque si può ipotizzare “che sia rimasto nella stanza ma fuori dall’inquadratura e che abbia assistito a tutta la conversazione”. A quella famosa conversazione tra Maniaci e l’ex sindaco De Luca, la stessa che troviamo nel “video manipolato”, in cui il terzo uomo, però, è stato clamorosamente tagliato. E se avesse assistito alla presunta “estorsione”? Perché Maniaci avrebbe dovuto “taglieggiare” il primo cittadino in presenza di un terzo testimone? Probabilmente perché quella non era affatto un’estorsione ma il pagamento di una pubblicità fatta al negozio della moglie di De Luca, e mandata in onda sull’emittente Telejato. Pagamento comprensivo di Iva e giustificato, dalla difesa, con regolare fattura. Il perito informatico aveva fatto luce anche su una frase, pronunciata dall’ex primo cittadino nel momento in cui consegna i soldi a Maniaci: “Così levi un po’ di merda”. La stranezza? “Questa frase non si sente” nel video originale ma solo in quello manipolato. Insomma, chi voleva la “fine” di Maniaci? Chi ha dato l’input per mettere in moto la macchina del fango, arrivando a manipolare la realtà? Forse l’ex giudice Silvana Saguto, infastidita dai servizi mandati in onda su Telejato, in cui venivano denunciati gli illeciti commessi da lei e dal suo cerchio magico? Le intercettazioni parlano chiaro: “Se questi si spicciassero a fare le indagini che stanno facendo – diceva l’ex giudice al telefono – noi non avremmo bisogno di fare niente. Se quei coglioni della procura indagassero su Maniaci l’avrebbero già arrestato. Quello che non capisco è per quale ragione ancora nessuno si muove contro questo stronzo di Telejato“. Ma c’è di più. Pare che prima ancora che fosse reso noto il caso Maniaci e nello stesso periodo in cui, ancora presidente delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, lei stessa era sotto indagine, la Saguto si sia recata presso la caserma dei carabinieri di Partinico. Una casualità? La signora, a ottobre, è stata condannata a otto anni e mezzo di reclusione. E questa non è di certo una casualità, perché se Pino Maniaci non avesse scoperchiato quel vaso di pandora, probabilmente Silvana Saguto sarebbe rimasta impunita.
Insomma, per tornare all’accusa di estorsione: che sia stata praticamente smantellata in aula è ormai sotto gli occhi di tutti. Anche a fronte delle dichiarazioni dell’ex Sindaco Lo Biundo, l’altra presunta vittima, che ha ammesso di non aver mai ricevuto né richieste estorsive né alcun tipo di ricatto o intimidazione da parte di Maniaci. Così come aveva fatto un anno dopo anche un ex assessore di Borgetto, al quale, secondo l’accusa, il giornalista aveva imposto l’acquisto di duemila magliette col logo della sua emittente: “Io l’ho già detto tempo fa alla Procura. Non ho ricevuto nessuna estorsione dal signor Maniaci”. E, non per ultimo, l’ex capitano dei Carabinieri De Chirico, teste chiave dell’accusa, che aveva ammesso di non aver trovato nessuna prova sul cambio di linea all’interno del tg condotto da Maniaci dopo la dazione di denaro.
La prossima udienza sarà il 12 gennaio 2021, per le arringhe della difesa: “Leggeremo la corposa requisitoria del pm che ha depistato l’accusa – ha aggiunto l’avvocato Ingroia all’Adnkronos – e quando faremo l’arringa difensiva contesteremo punto per punto ogni fatto. Questo è uno di quei casi in cui il pm avrebbe dovuto chiedere l’assoluzione per l’imputato tenendo conto del risultato dibattimentale”.