domenica, Novembre 24, 2024
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L’università col virus

La testimonianza di Rosalie, aspirante psicologa.

“Sin da bambina sognavo di poter diventare una psicologa, infatti non vedevo l’ora di cominciare all’università un nuovo percorso di studi. Finalmente avrei studiato materie realmente interessanti per me e che mi avrebbero dato soddisfazione una volta terminate. Durante tutti e cinque gli anni di liceo non ho fatto altro che approfondire e leggere testi sulla psicologia così da creare una vasta cultura in materia, tanto era grande la mia passione” racconta Rosalie Lazzaro, studentessa diplomata catanese.

La diffusione del Corona virus ha inevitabilmente alterato gli equilibri già esistenti nel sistema scolastico-universitario, ad oggi, ad esempio, non sappiamo se la scuola italiana ricomincerà regolarmente dato il crescente diffondersi di focolai negli altri paesi europei. In Germania già il 22 agosto scorso sono state chiuse cento scuole per contagi.

Le università italiane invece stanno pensando alla didattica mista, alcuni studenti seguiranno on-line, altri in presenza. I test d’ingresso universitari però hanno portato delle contraddizioni con sé: l’esempio più eclatante riguarda i molti ragazzi positivi al virus che hanno dovuto rinunciare al test di medicina poiché non è stata trovata una soluzione alternativa all’assembramento, dopo un anno o più di preparazione e studio.

 “Due mesi fa con grandissime aspettative ho compilato l’iscrizione presso l’Università degli studi di Catania, convinta che il mio sogno stesse per cominciare. Oggi venerdì quattro settembre 2020 sono state pubblicate le graduatorie di ammissione alla facoltà di Psicologia”- a numero programmato locale- “ Sono rimasta sconvolta e sdegnata nel vedere come io sia rimasta fuori. Credo sia inconcepibile stilare una graduatoria sulla base del voto di diploma del liceo, dove regna sovrana l’individualità e l’ingiustizia. Senza considerare le differenze di ciascun percorso macchiato da così tante variabili, difficili da elencare tutte insieme” continua Rosalie.

È inevitabile ammettere che spesso gli studenti sono poco interessati ai programmi scolastici, boriosi e tradizionali. Ne consegue che molti, non tutti, si impegnano meno a scuola e più all’università. è per caso una colpa questa?

“Si poteva procedere con un test di ammissione, simile a quello che ogni anno svolgono gli aspiranti medici, i nuovi iscritti a Professioni sanitarie e altri studenti. Mi sorge spontaneo pensare che esistano facoltà di serie A, che ti permettono di essere valutato con un test anche durante la pandemia, e facoltà di serie B o addirittura C. Si crea in questo modo un divario incolmabile tra chi lavora nell’ambito medico-sanitario e chi no.”

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