Non si può tornare a lavorare in nero
Nessun aiuto alle imprese che non regolarizzano i propri dipendenti.
Ogni giorno le associazioni di categoria dei commercianti, dei ristoratori e di altre imprese affollano le pagine dei giornali con appelli a incentivi, sgravi fiscali, cancellazione delle tasse, sospensioni nei pagamenti di affitti e utenze. La chiusura obbligata di molte attività economiche ha ovviamente prodotto un azzeramento drammatico delle entrate e ora si rischia il fallimento. Gli enti locali sono in prima fila a studiare le modalità per venire incontro alle imprese. Ma c’è da pensare alle lavoratrici e ai lavoratori. Sarebbe assai grave che si consenta di non pagare le tasse e di ottenere incentivi a chi tiene lavoratori in nero o contratti falsi.
foto Mario Libertini
Nei retrobottega e negli scantinati di bar e ristoranti vi è un mondo sommerso, lontano dagli scintillanti banconi. Lì si comincia a lavorare parecchie ore prima che si sollevi la saracinesca, si finisce molto dopo l’uscita dell’ultimo cliente. E spesso si lavora in nero, quasi sempre si lavora con contratti falsi, che prevedono un numero di ore enormemente più basso di quelle effettivamente lavorate. I datori di lavoro lamentano costi del lavoro troppo alti, contributi impossibili da pagare pur di giustificare la mancata regolarizzazione dei contratti ma spesso vengono traditi dalle loro auto di lusso, dalle moto potenti, dai vestiti firmati, dalle vacanze da sogno. Profitti altissimi e stipendi da fame.
Nei negozi che smaniano per riaprire le commesse non hanno contratto, non hanno diritto a stare male, devono subire ogni genere di angheria. Il datore di lavoro non si preoccupa più di tanto a sostituirle e licenziarle in tronco. “Sai quante altre ne trovo” ripete come un mantra di fronte a ogni richiesta. Così si è costretti a sopportare, sempre e comunque. Per fame.
Nei cantieri che subito si rimetteranno in moto i lavoratori sono chiamati a giornata, spesso da un caporale. Regolarizzati solo in vista di un controllo, o se non si riesce proprio a nascondere un incidente.
La crisi che morde e la povertà che affama rischiano nei prossimi mesi di legittimare qualsiasi comportamento illecito di tantissimi titolari di imprese. Lo stato di bisogno verrà utilizzato per aumentare ancora di più il ricorso al lavoro nero, a contratti falsi, a paghe da fame. Se le Istituzioni non interverranno, se gli ispettorati del lavoro non saranno messi in condizione di agire, se i sindacati si gireranno da un’altra parte.
Eppure proprio la ripresa delle attività economiche potrebbe rappresentare un’occasione straordinaria per finalmente regolarizzare il lavoro. Pensate cosa succederebbe se i comuni non dessero suolo pubblico, neanche a pagarlo oro, a chi tiene anche un solo cameriere in nero o con un contratto finto. Pensate quale enorme effetto avrebbe negare qualsiasi tipo di contributo pubblico, esenzione fiscale, sgravio di tariffe a chi non regolarizza i suoi dipendenti. Pensate a quante persone e famiglie si darebbe finalmente dignità: un giusto salario, delle ferie retribuite, dei giorni di malattia garantiti. Basterebbe far rispettare leggi e regole già scritte, già ampiamente applicate da tante imprese oneste.
Una fase due senza lavoro nero, senza aiuti di stato ai disonesti che si arricchiscono sulle spalle di chi lavora dieci ore per una manciata di euro.