“Il mio 23 maggio nella Palermo di vent’anni fa”
Antonio Cimino era a Sicilianigiovani nel 1985, è stato vicepresidente del Coordinamento Antimafia. Ci racconta la Palermo di quegli anni, il suo 23 maggio 1992
Che aria si respirava a Palermo?
Era dura, avevamo tutti contro. Il Pci con noi ce l’aveva a morte, per non parlare degli altri partiti! Eravamo volontari, ognuno con il suo lavoro: quando si aveva tempo organizzavamo convegni, assemblee nelle scuole. Alcuni di noi cominciarono ad avere minacce.
Quindi da parte dell’opinione pubblica una risposta c’era ma non dalle istituzioni politiche…
Ci mettevano i bastoni tra le ruote. Venimmo a sapere che un signore, ancora oggi dopo trent’anni vicedirettore del Giornale di Sicilia (Giovanni Pepi) diceva che eravamo dei fanatici che vedevamo mafia dappertutto.
Il nostro obiettivo era il livello più alto della mafia, il comando politico.
Ha mai incontrato di persona Giovanni Falcone?
Lo vidi qualche volta a Palermo, non spesso perché era un personaggio piuttosto schivo visto che ce l’avevano tutti con lui. Gli parlai due volte a telefono: la prima volta era impegnato, la seconda volta mi disse che stava andando negli Stati Uniti per lavoro, poi andò via da Palermo.
La stampa del tempo non era molto propensa nei suoi confronti…
Gliene dicevano di tutti i colori. Addirittura ci fu una signora che inviò una lettera al Giornale di Sicilia proponendo che questi magistrati venissero isolati in un posto fuori la città dove non potevano disturbare nessuno.
Il clima era questo a Palermo.
23 maggio 1992. Lei dov’era, come ha appreso la notizia, la sua reazione.
Ero davanti la Questura. La cosa che mi colpì è che per uccidere una persona fecero saltare in aria un pezzo di autostrada con un quantitativo di tritolo impressionante. Si è voluto affermare “Qui noi comandiamo, siamo in grado di fare saltare in aria una città!”.
Sono passati 65 anni dalla strage di Portella della Ginestra e siamo sempre al punto di partenza. Non si è mai saputo chi sono stati i mandanti di tutte queste stragi.
Ogni anno vengono svolte le commemorazioni. Hanno utilità oppure sono spazio pubblicitario per le istituzioni politiche?
Purtroppo è così. Arrivati ad un certo punto non ci andavamo più. Potevi incontrare i fiancheggiatori, anche qualcuno dei mandanti. Certo, dal punto di vista dei familiari è sempre importante ricordare, quello è fondamentale.
Magari non solo in quei giorni…
Esatto, il problema è soltanto lì. Ci sono state altre vittime che hanno pagato con la vita e molta gente non sa chi sono. Per il potere politico, per i giornali, meno se ne parla e meglio è. Tutte queste persone vengono uccise perchè isolati. I colleghi che accusò Borsellino oggi ricoprono posti importanti, sia nel Tribunale di Palermo sia a Roma: alcuni sono diventati giudici di Cassazione.
Quale messaggio ha lasciato Giovanni Falcone?
Ai giovani è rimasto qualcosa. Tutte le persone che sono state uccise erano coscienti che avrebbero fatto quella fine: C’è una affermazione di Giuseppe Fava che dice “A che serve essere vivi se non c’è il coraggio di lottare?”.