Finalmente ve ne siete accorti
Finalmente vi siete accorti di Eleonora. Lava le scale per cinque o sei euro l’ora. Con quei soldi ci mantiene tre figli e pure suo marito, che gioca d’azzardo. Vedete pure lui. Chiamato qualche volta dal caporale, in qualche cantiere, in qualche casa privata per dei lavori di muratura. Trenta euro a giornata, cinquanta quando va bene.
Vedete Giacomo, che vi ripara i computer per dieci o quindici euro. È cortese, vi sembra un genio. Con quei soldi, senza fattura, con quei lavori senza contratto, ci mantiene il suo bambino. Ora non lo chiamate più, l’ufficio è chiuso.
Agata, che faceva fare i compiti ai vostri figli. Cinque euro l’ora. Laureata, preparata, la volevate educata e di buona famiglia. Ma le chiedevate lo sconto e non l’avete pagata quella volta che non è venuta per via della febbre, del funerale, della recita di sua figlia. Ora che non si rischia la bocciatura e che voi siete a casa, lei non viene più.
Salvo, che vi vendeva la frutta. La sveglia alle tre, il viaggio verso il mercato all’ingrosso e le giornate passate al bordo della strada. Il prezzo che vi faceva lo giudicavate sempre troppo alto. Ora in strada non c’è nessuno e lui non lavora più.
Riuscite a vedere pure quei vostri vicini di casa stranieri. Domestici in una delle tante ville della prima periferia della città. Pronti a sistemare il giardino, rifare i letti, lavare i piatti, pulire i bagni. Sempre cortesi, sempre premurosi, sempre ossequiosi. Assunti con contratti di lavoro falsi, con riportate solo un terzo delle ore effettivamente lavorate. Contratti indispensabili per avere il permesso di soggiorno. I padroni sono a casa e loro non servono più.
Tutti lì in fila, per avere la spesa. Accalcati in duemila in piazza Spedini a Catania mentre alcuni commercianti decidono di regalare i propri prodotti. Ammassati dietro un computer per chiedere il buono spesa. Assiepati davanti la parrocchia, ad attendere che si alzi la saracinesca della sede dell’associazione.
Li fotografate: i poveri. Vi lamentate: sono troppi. Voi siete quelli che avete assistito in silenzio al saccheggio della città, ne avete approfittato, lo avete guidato e ora vi sconvolge vedere duemila affamati in fila per sfamarsi.
Eccoli lì i poveri, col volto coperto dalla mascherina ma a testa alta: il virus ha un merito, ha dato l’alibi per svelarsi, per raccontare la propria condizione di povertà con meno vergogna. Fino a ieri avevate convinto i poveri che fossero poveri per loro stessa colpa, perché troppo scemi o troppo sfortunati o troppo incapaci. Adesso si può dare la colpa al Covid-19, alla chiusura forzata delle attività. Eccoli lì i poveri, ma sono sempre stati lì, il virus vi ha solo tolto la benda.
Se l’anno scorso il Governo avesse stanziato dei soldi per chi avesse avuto difficoltà a fare la spesa, se in piazza Spedini un anno fa i commercianti si fossero organizzati per donare generi alimentari, la fila sarebbe stata la stessa. Non perché ci fosse la stessa fame ma perché con quei soldi risparmiati ci si sarebbe potuti concedere uno sfizio: una pizza d’asporto, una torta di compleanno, un piccolo regalo. E per questo si sarebbe sfidata la vergogna.
Finalmente vi siete accorti della povertà, anche di quella povertà che parla un perfetto italiano, abita i quartieri del centro, ha studiato ma non ha i soldi per fare la spesa. Vi siete accorti di quella povertà che in gran parte è colpa vostra.
Qualcuno di voi pensa che sarà la carità a ripulirvi le coscienze, che bisogna far di tutto per trasformare i diritti in elemosina in modo che qualcuno possa ancora dirvi grazie. I Ciancio, i Virlinzi, i Costanzo, i Bosco, i Leonardi, i Paternò, i D’Urso Somma, i signori coi doppi e i tripli cognomi, i proprietari terrieri con le macchine d’epoca e le feste per vip, quelli con le iniziali ricamate nelle camicie e i cognomi scolpiti nella pietra, quei preti e arcivescovi con le voci solenni e le auto di lusso potrebbero illudersi di espiare le loro colpe con una campagna di crowdfunding. Oppure potrebbero continuare a fare ciò che hanno sempre fatto: fare finta di non accorgersi.