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Ragazzi di Librino

Tre morti in dieci giorni

Agatino Saraniti e Massimo Casella sono stati ammazzati la notte tra il 9 e il 10 febbraio nella piana di Catania. Agatino aveva diciotto anni, era del quartiere di Librino.

La loro storia è raccontata su Meridionews da Luisa Santangelo e Marta Silvestre. Sono partiti da Catania in tre per andare a rubare le arance da rivendere al bordo della strada. Hanno riempito un piccolo furgoncino, potevano essere cinquecento chili di arance. Ci avrebbero fatto non più di quattrocento euro. Neanche centocinquanta a testa. Ad Agatino gli hanno sparato prima nel sedere, poi al centro della schiena. Hanno girato il suo corpo, ormai paralizzato e gli hanno sparato in pancia. Lo hanno ritrovato con la maglietta girata dietro il collo, i pantaloni abbassati, coperto di terra e di erba. Cosa ci sia dietro non si sa ancora ma non può essere solo un furto di arance.

Librino. Agatino anche lui, anche lui 19 anni, il ragazzo che insieme a un altro la notte scorsa è andato a rubare i soldi di un distributore di sigarette. Per aprirlo hanno portato una bomba. L’hanno inserita nello sportellino e si sono allontanati. La potenza della detonazione è stata amplificata enormemente dalla struttura del distributore. Le lastre di metallo hanno raggiunto il lato opposto della strada, danneggiando le auto in sosta e persino il cancello blindato della banca. I frammenti dell’esplosione sono arrivati fino al nono piano dei palazzi vicini. Agatino è morto. Nella macchinetta delle sigarette c’erano meno di trecento euro.

Quella tabaccheria di Librino è gestita dalla famiglia di Graziano Bonaccorsi, consigliere comunale del Movimento 5 Stelle, uno dei pochissimi che ha avuto il coraggio negli ultimi anni di denunciare il malfunzionamento delle società partecipate, le opache autorizzazioni urbanistiche, la malagestione dell’appalto sui rifiuti.

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Tre morti in dieci giorni, un bollettino di guerra. Ma per loro nessuno dichiarerà il lutto cittadino. Sono le ultime ruote del carro, indifendibili ladruncoli. Qualcuno penserà persino che se lo siano meritato. Dichiararli colpevoli delle loro terribili morti sarà per chi governa l’unico modo per autoassolversi. Ma nessuno potrà tacere la sofferenza di una parte di città costretta a vivere nel degrado sociale, culturale, economico. I corpi di quei ragazzi prima di essere stati dilaniati dai proiettili e dalle schegge delle bombe, sono stati martirizzati dalla povertà, dall’assenza di scuola, dalla mancanza di lavoro. Corpi straziati dall’emarginazione sociale che diventa violenza e disprezzo delle regole: le logiche mafiose della sopraffazione, del furto, dell’essere più furbo degli altri, dell’essere più forte nel dare i pugni, nell’intimidire, nel fare paura. A quei corpi è stato rubato il futuro e per questo hanno perso la vita.

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