Maledetti Benedettini
“E questo sarebbe un luogo di studio?”
Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena. Catania. Un labirinto di stanze, corridoi, scale e di ampi spazi aperti, due chiostri, quello di levante e quello di ponente, un giardino pensile, quello dei “Novizi”, tante biblioteche. Un polmone di cultura e di storia.
Dopo le leggi post-unitarie di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose, nel 1866, l’intero complesso passa alle istituzioni cittadine catanesi e viene utilizzato per svariate attività. Nel ’77 la struttura va all’Università degli Studi di Catania che incaricò l’architetto Giancarlo De Carlo di pensare e di attuare un piano di recupero e di restauro.
Oggi il Monastero come se la passa? Ha veramente trovato pace o subisce giornalmente delle piccole violenze? Una passeggiata di poche ore basta a farne un quadro. C’è una grande piazzetta alberata davanti al portone principale. C’è una rovina romana lasciata in rovina- perdonate il gioco di parole- e una selva di automobili e moto parcheggiate sopra i marciapiedi vicini alla struttura. E poi ci sono loro, i parcheggiatori abusivi. Poche volte l’anno, i proprietari delle auto escono di corsa dalla facoltà. “I sbirra ni stanu mittènnu i ganasci ndè roti” – una soffiata a un cellulare di un dipendente. Arrivano le volanti, fanno le multe e poi tutto ritorna nell’oblio.
Entrando, di fronte alla porta, sorge un ponte, costruito su una vecchia strada romana, ornata da alcuni moderni monili di plastica. Tutt’intorno, le mura e la pace del Monastero. Il bianco della pietra calcare accompagna il nero lavico e il grigio del cemento, i bei balconi con sotto le scaramantiche facce di pietra bianca annerita, le finestre verdi, la bandiera dell’università quando è festa. Andando dritto, per l’ingresso centrale ai locali interni, si offrono agli occhi le linee dei decori murali, lungo le scalinate.
Al primo piano, sotto i piedi, un paio di finestrelle sul pavimento attirano l’attenzione: cumuli di scatoloni, computer e stampanti di ere lontane, accatastati in piccole montagne. Una macchinetta blu futuristica impolverata e spenta da tempo in un angolo morto del corridoio, forse una specie di info point interattivo, simbolo di un futuro mai arrivato. Il corridoio è una galleria di estintori, rossi, con le etichette in mostra. Devono averne sperimentato l’efficacia i bravi ragazzi che la notte tra del 13 maggio hanno lavorato di fiamma ossidrica per scassinare un bancomat dentro la facoltà, vicino al quale hanno lasciato un impotente estintore. L’estintore e lo sportello mangiato dalle fiamme paiono un’opera d’arte moderna sembrano nature morte, come qualche scatolone con vecchie stampanti, vecchie scrivanie, tavoli, sedie e altri oggetti che abbelliscono il primo e il secondo piano.
Giardino dei Novizi, secondo piano. Una torre in metallo (il D.I.S.Eur), con un ascensore non a norma attira la mia curiosità. Unica via per scalare la torre, le scale. Per i diversamente abili, penso, restano le ali di Icaro. Dalle scale, lo scenario: bellezza del monastero e del giardino, i suoi alberi e la sua terra sotto; immondizia, in uno spazio rettangolare attiguo all’ospedale Vittorio Emanuele. Giù dalla torre, proprio sotto l’osservatore: sedie, tesi, scatoloni, scaffali, schermi di pc, accatastati. Qualche studente prende della carta stampata. “Questo libro, sai quanto ti vale, poi?… Edizione limitata…” fa uno studente robusto, biondo e riccio, con fare scherzoso, indicando un testo malconcio. Alcuni si lamentano: “Guarda che fine che fanno le tesi!”.
Quasi non vale la pena buttarci sangue, nello studio, se poi finisce accatastato come letame. In un altro corridoio vicino alla discarica, armadi pieni di libri con le collocazioni, aperti a tutti: chiunque può rubarne uno. Lo spazio, giù dalla torre, quello confinante con il Vittorio Emanuele è un covo di ragazzini e partite di calcio improvvisate. Forse sono gli stessi simpatici giovani che, mesi addietro, salendo sull’auditorium dall’ospedale, hanno preso di mira per mesi gli ignari studenti che stazionano giornalmente nel cortile interno. Varie e ripetute sassaiole si sono succedute, a danno degli universitari: lanci di pietre, tegole, palloncini pieni d’acqua, uova e qualche pentola. Pallone, bambini teppisti, nessuno spazio ricreativo nel quartiere dell’Antico Corso, qualche cassonetto incendiato, qualche scippo. Qualcuno pensa che lo sgombro dell’Experia, il centro sociale che operava nel quartiere, sia alla base della decadenza.
Trovare un bagno pulito ai Benedettini è davvero un’impresa. Le pulizie del personale addetto sono giornaliere ma l’inciviltà generale è degna del famoso artista Shpalman. Il sapone rosa può mancare dagli appositi contenitori anche per mesi e, magicamente, ricomparire, ma di colore verde, quando i chiostri accolgono qualche convegno. Probabilmente il sapone rosa dev’essere di minor qualità di quello verde.
Grazie ai convegni, il sapone, i sacchetti sanitari per le donne, la carta igienica tornano nei bagni. L’acqua invece va a giorni alterni. C’è gente che si porta il sapone da casa, dimenticando un flacone sopra un lavandino. Un bagno femminile al primo piano è chiuso a chiave o riservato chissà a quale categoria. Le studentesse sono costrette ad andare in quello dei disabili.
Ogni tanto spunta qualche siringa abbandonate in angoli un po’ nascosti, vicino all’auditorium.
D’altronde, la sicurezza, in senso lato, è un problema. I casi più eclatanti: a febbraio del 2011 una ragazza si è ritrovata davanti un maniaco che si masturbava, nel bagno delle donne; a maggio del 2012 un sedicente professionista del benessere ha tentato di molestare una studentessa col pretesto di un massaggio. Il personale della sicurezza è stato tagliato anni fa per mancanza di soldi e di contratti.
“La verità è che nell’ordine c’è la noia frustrante dell’imposizione, mentre nel disordine c’è la fantasia esaltante della partecipazione” scriveva Giancarlo De Carlo ne L’architettura della partecipazione. Sicuramente ai Benedettini, di noia non si muore. Semmai di disservizi. L’abitudine a questi piccoli scempi è ormai l’unico atteggiamento degli studenti. Le tasse non diminuiscono, semmai aumentano anno dopo anno. Se il numero chiuso aveva fatto sognare per possibili miglioramenti ai servizi, oggi resta la rassegnazione.
Non c’è più nemmeno la segreteria studenti nel plesso, ma è stata spostata in altri lidi, accorpata a quelle di altre facoltà.