“Non aprire quella finestra”
Un dialogo in Italia, al tempo della crisi
«Non aprire le finestre. Per piacere.».
«Ma è tardi, ormai sono le sette e mezza. La sveglia ha suonato già da un quarto d’ora. ».
«Non ho sentito nulla, è ancora buio.»
«E’ buio perché ieri sera hai sigillato le tapparelle. Fuori è già giorno».
«Non c’è nessun giorno là fuori. E’ ancora notte fonda».
Silenzio preoccupato.
«Ma stai bene?».
«Benissimo. Ma ora riprendiamo a dormire, dai, la notte è ancora lunga e ho sonno. Tanto sonno.».
«La notte non è lunga, è finita, è un nuovo giorno. Guarda la sveglia.».
«Buona notte».
«Ma io non ho sonno.».
«Ah, soffri di insonnia? E da quando? Buona notte. Puoi leggere, se vuoi, non mi dai fastidio.».
«Ma io non voglio leggere, è ora di colazione.».
«Uno spuntino di mezzanotte, vuoi dire. Buon appetito. Io no, comunque, non ho fame.».
Silenzio.
«Stai, scherzando, vero?».
«Io? Scherzando? No, assolutamente. E ora lasciami dormire, dai.».
«Stiamo facendo tardi, questa storia è durata fin troppo.».
«Non alzare le tapparelle, per piacere».
«Hai paura della luce? Sei forse diventato un vampiro?».
«No, niente vampiri. Vedi? I canini sono normali. Puoi provare con l’aglio, se non ci credi. Buonanotte».
«Piantala, dai. E’ ora di andare al lavoro, devi parlare con quello del Personale.».
«No, non ancora. Ho appuntamento domani.».
«Ma domani è … adesso».
«Non ancora, è ancora notte.».
«Sei stato convocato, è un colloquio importante…».
«Tanto lo so già cosa mi dirà: mi consegnerà la lettera della cassa integrazione. Domani. Ci penserò domani.».
«Vuoi che chiami il dottore?».
«Perché? Non stai bene? E’ per l’insonnia?».
«Io non soffro di insonnia.».
«Non si direbbe. Hai pure fame.».
«Sto benissimo, io.».
«Mi fa piacere. Ma ora lasciami dormire, per favore.».
«Non fare lo sciocco, ci sono mille cose da fare. Devi anche passare in banca.».
«Non credo che siano aperte di notte, a quest’ora ci sono solo i bancomat.».
«Lo so che non devi prelevare, devi parlare col Direttore, per quelle rate che scadono oggi.».
«Non scadono oggi, scadranno domani.».
«Come preferisci. Ma devi andarci a parlare. Se non le paghiamo rischiamo di perdere la casa.».
«Oh sì, c’è l’ipoteca.».
«Appunto, bisogna vedere se è possibile rinegoziare il mutuo.».
«Sarà difficile.»
«Proprio per questo devi andarci.».
«Non me lo farà rinegoziare, lo so già.».
«Comunque devi provarci, è l’unica cosa che possiamo fare.».
«Sappiamo tutti e due che non servirà. Ma domani ci andrò lo stesso…».
E cadde addormentato. Respiro profondo, quasi un russare.
«Dai, devi arrivare presto al lavoro se vuoi uscire prima per passare in banca. E’ ora di alzarsi. Forza, finiamola con questa commedia. Comincio ad andare in bagno io. Tu ronfa pure per altri dieci minuti, se vuoi.».
Coperte rialzate, passi scalzi sul pavimento. Acqua nel lavandino. E poi un rumore di carta, un frugare nel cestino. Silenzio.
La porta del bagno che si riapre violentemente.
«Ma quante ne hai prese?». Corsa verso il letto. Il respiro sempre più profondo, cupo. Di corsa, ancora, verso il telefono. Tre tasti, tre tasti soli pigiati con affanno «Un’ambulanza! Presto! Un’ambulanza!».