Germania: pizza e mandolino
Come le mafie hanno conquistato la Locomotiva d’Europa
C’è una frase che, chiunque abbia mai preso parte ad un evento, conferenza, dibattito sulle mafie, ha sentito almeno una volta. “Non bisogna immaginarsi i mafiosi con coppola e lupara, oggi vestono in giacca e cravatta”. Eppure oggi potremmo dire che, oltre alla giacca e alla cravatta, i mafiosi abbiano deciso di indossare il cappello da cuoco e gli abiti di cameriere.
Il settore della ristorazione è, infatti, quello preferito dalle mafie storiche italiane per riciclare i proventi di attività illecite, fuori dai confini italiani. Si tratta di miliardi e miliardi di euro che, senza un’opportuna attività di “laundering” (termine inglese che ancor meglio dell’italiano “riciclaggio” rende l’idea del “lavaggio” di soldi sporchi) rimarrebbero ad ammuffire nei depositi mafiosi.
L’Italia nel tempo si è dotata di forti sistemi di controllo, come la certificazione antimafia e i disincentivi all’utilizzo del contante, che, pur essendo ovviamente migliorabili, sono comunque degli ostacoli al possibile riutilizzo dei capitali mafiosi. In molti paesi esteri, tuttavia, non è così. Le attività di riciclaggio, inoltre, sono più facilmente mascherabili in economie floride, nelle quali ingenti iniezioni di capitale non saltano all’occhio, nascondendosi in un già presente flusso di denaro. Queste due caratteristiche – disattenzione al fenomeno mafioso e forte economia – si incrociano perfettamente, dando vita ad un paradiso terrestre per le mafie, nel paese simbolo dell’Unione Europea: la Germania. Per le mafie è stato semplice nascondersi tra i circa 680 mila italiani che oggi vivono in Germania, oltre agli 800mila che sono figli di emigrati italiani: la Germania, d’altronde, è la prima economia dell’UE, che produce il 29% del Pil dell’Eurozona; la disoccupazione è al 3,2% e le finanze pubbliche da cinque anni consecutivi ha un avanzo di bilancio pubblico, arrivato oggi a 59,2 miliardi. Il paradiso. Ma i paradisi terreni non chiedono requisiti di accesso ed anche le mafie hanno visto nella locomotiva d’Europa un’opportunità immensa per riciclare il denaro sporco.
Le parole di Giorgio Basile, detto “Faccia d’angelo”, ‘ndranghetista responsabile di circa 30 omicidi, poi pentitosi, sono tutt’altro che di buon auspicio: “La polizia non ci ha mai voluto credere ma i tedeschi si devono convincere che lì, ovunque c’è una pizzeria, c’è la ‘Ndrangheta”. Ed è proprio la ‘Ndrangheta la mafia italiana più presente nel territorio tedesco. Tralasciando la nota strage di Duisburg del 2007 e le recenti inchieste, tra cui vale la pena citare le più recenti, Pollino e Stige, già negli anni ’90 uno studio della DIA e del Bundeskriminalamt (ossia la Polizia federale tedesca, BKA) affermava che circa un centinaio di residenti in Germania erano affiliati o in contatto con clan mafiosi. Nel 2017 la stima della BKA è salita a 350 ‘Ndranghetisti, 125 membri di Cosa Nostra e 90 affiliati alla Camorra. Non tutti però sono d’accordo: Correctiv, collettivo di giornalisti d’inchiesta e il partito dei Verdi parlano di almeno 1000 ‘Ndranghetisti, mentre il procuratore Gratteri ha dichiarato, durante un incontro al Csm, che le “locali” di ‘Ndrangheta, ossia le cosche interne all’organizzazione criminale calabrese, sono almeno 60 (ogni locale di solito conta almeno 50 membri). Dunque il dato dei mille affiliati sarebbe più che triplicato e, per questo, non dovrebbero sorprendere le dichiarazioni dell’ex presidente della BKA, Jörg Ziercke, che nel 2013, durante un convegno per commemorare il giornalista siciliano Beppe Alfano, disse: “La criminalità in Germania si chiama ‘Ndrangheta”.
Anche Sandro Mattioli, giornalista d’inchiesta e presidente di Mafianeindanke, associazione nata a Berlino a seguito della strage di Duisburg del 2007 come risposta della società civile, manifesta una forte sofferenza nel riconoscere e contrastare la mafia in Germania: “E’ complesso ricondurre alla mafia comportamenti delittuosi classici, come ad esempio il traffico di droga, ma lo è ancor di più per quei reati, come il riciclaggio, che sono apparentemente caratterizzati da attività legali.” La Germania arranca ed è fortemente indietro alla lotta alla mafia per diversi motivi: “Innanzitutto la Germania ha una tradizione giuridica che difficilmente riconosce i reati associativi. E’ impossibile sconfiggere la mafia punendo soltanto i singoli reati fine. Un altro grande difetto è il mancato funzionamento della FIU (financial Intelligence Unite) sorta come istituzione analoga alla guardia di finanza italiana.„ L’ottima idea del governo tedesco si è scontrata con problemi pratici: poche sono state le risorse messe a disposizione e i casi in attesa di trattazione sono decine di migliaia.
Tanti sono i temi affrontabili quando si parla di mafie in Germania, ma alla base di ogni ragionamento, per Sandro Mattioli, vi deve essere una premessa logica: “Se la mafia si globalizza anche la resistenza deve globalizzarsi” Ed è per questo che esiste Mafianeindanke.
“Siamo nati come rete di ristoratori ma nel tempo ci siamo evoluti. Oggi abbiamo 150 iscritti e siamo diventati un soggetto che fa informazione e ricerca, stimolando il contesto sociale sul tema”. Per fare ciò, Mafianeindanke ha organizzato, in collaborazione con Libera e la rete Chance, Coreact, manifestazione di due giorni – 15 e 16 Novembre – che vedrà esperti da tutto il mondo dibattere su come elaborare strumenti di contrasto alle mafie, viste come fenomeno criminale ormai transnazionale.
Forse, la “globalizzazione della resistenza” sta, lentamente, prendendo piede…