Ritorno a Montelepre: Rosi, Giuliano, Iliade della Sicilia grama
Montelepre, 1961. Salvatore Giuliano è morto da undici anni. Da diverso tempo un giovane regista napoletano, Francesco Rosi, ha in animo di girare un film sul bandito…
Il film lo vuole girare negli stessi luoghi dove si è svolta la storia, raccontandola fedelmente attraverso la recitazione della gente del posto. Rosi, regista di grande impegno civile, ha studiato nei minimi dettagli la vicenda, ne conosce molti lati oscuri, compresi gli stretti legami fra il banditismo, la mafia e la politica, e vuole fare conoscere certe verità attraverso il grande schermo.
Un ostacolo deve superare: la diffidenza degli abitanti. Che vivono in modo lacerante quel ricordo. Da un lato il mito di Robin Hood che “toglieva ai ricchi per dare ai poveri”. Dall’altro l’incubo per le repressioni, l’uccisione di decine di carabinieri, il coprifuoco, la strage di Portella della Ginestra.
Nella primavera di quell’anno la Lux-Vides-Galatea di Franco Cristaldi manda in Sicilia Tullio Kezich -giovane giornalista che aveva collaborato ne La dolce vita- per svolgere un’indagine sugli usi, sui costumi, sulle abitudini dei siciliani ai tempi di Giuliano. In un mese Kezich riempie decine di taccuini, parla con tantissime persone, gira da cima a fondo quei posti.
Il film che Rosi ha in mente non vuole essere una biografia sul bandito di Montelepre, ma la ricostruzione di una storia che, pur svolgendosi in una Sicilia molto povera, ha collegamenti con gli alti vertici della politica nazionale ed internazionale. Intanto anche il regista arriva nel piccolo paese palermitano, incontra il sindaco Giovanni Provenzano, e concorda con lui un incontro pubblico per esporre il progetto. Alla riunione partecipa tutto il paese. Oltre al primo cittadino, sono presenti il prete, il maresciallo e il tenente dei carabinieri, il presidente del Circolo dei civili che ospita il dibattito.
In sala ci sono momenti di tensione: la gente ha il timore che di Montelepre si possa continuare a dare un’immagine negativa. Rosi rassicura. Nessuna forzatura. Solo la verità dei fatti ripresa dagli atti giudiziari e dalle testimonianze orali.
Da quel momento tutti sono disponibili a collaborare. Alcuni anni prima il regista napoletano aveva recepito la lezione neorealista di Luchino Visconti, del quale assieme a Franco Zeffirelli era stato aiuto regista ne La terra trema, ambientata nel borgo marinaro di Acitrezza, vicino Catania. Una lezione che prevede la recitazione “verista” della gente del posto.
A quell’esperienza Rosi si ispira per girare Salvatore Giuliano. Il film successivamente verrà scartato dal Festival di Venezia per il carattere “documentaristico”, ma farà incetta di riconoscimenti altrove (fra gli altri: Orso d’argento a Berlino, Grolla d’oro a St. Vincent, Premio della stampa estera, Nastro d’argento) e riapre il dibattito in parlamento e sugli organi di informazione.
Le piazze e i vicoli di Montelepre diventano il set naturale del film, così come il monte Sàgana, rifugio preferito di Turiddu, Portella della Ginestra, e la casa dell’avvocato De Maria, a Castelvetrano, nascondiglio del bandito negli ultimi giorni di vita, con il famoso cortile dove il “re di Montelepre” fu trovato disteso per terra, ormai senza vita. Gli unici attori professionisti sono l’americano Frank Wollf (Gaspare Pisciotta) e il grande Salvo Randone (presidente della Corte d’Assise di Viterbo). Salvatore Giuliano viene interpretato dal giovane tranviere palermitano Pietro Cammarata, il quale non appena viene contattato chiede: “Ma un cci ‘nnè fimmini?”.
Da allora sono trascorsi cinquant’anni. Diverse persone del paese che parteciparono al film, o che ne furono testimoni, sono morte. Riusciamo a comporre il mosaico con quelle rimaste e con alcuni giovani che raccontano ciò che hanno appreso dai più vecchi. Soffermarsi sull’opera di Rosi senza scivolare nella storia reale diventa inevitabile. Come è inevitabile, malgrado le apparenze, non accorgersi di certe ferite ancora aperte, soprattutto fra la gente anziana. Basti pensare che durante le riprese vennero uccisi una comparsa del film e il boss Nitto Minasola, coinvolto nell’affaire Giuliano.
Oggi troviamo una Montelepre con palazzi a quattro o cinque piani decisamente diversa rispetto al paesino con le stradine di pietra e le case basse che nel ’61 furono riprese dalla macchina da presa. In questi anni il cemento ha “globalizzato” anche questo paese di 7mila abitanti in provincia di Palermo. Nel bellissimo municipio allora adibito a quartier generale del Corpo di repressione banditismo, incontriamo il settantaduenne Vincenzo Norvese. Ha fatto il duro in diverse pellicole girate in Sicilia.
Quarant’anni fa i suoi zigomi appuntiti e il suo volto scavato ricordavano il giovane Pasolini.
io qualche documento sui fatti c’e l’ho!. ed anche qualche storia inedita.