lunedì, Novembre 25, 2024
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Sulla pelle di Giulio Regeni e di chi lotta per la libertà

Gemellaggio tra Catania e Alessandria d’Egitto: diritti umani, mummie e il Cavaliere di Gran Croce

Khaled Said aveva 28 anni ed era di Alessandria d’Egitto, il 7 giugno del 2010 si oppose a un’azione di polizia presso un Internet Café. Due poliziotti privi di mandato, in forza della legge d’emergenza che limitava la Costituzione egiziana, chiesero i documenti a tutti i ragazzi presenti, senza alcuna autorizzazione, solo con finalità repressive. Khaled fece valere i suoi diritti e si rifiutò di esibire il documento. I poliziotti lo riempirono di calci al petto e al ventre e gli sbatterono la testa contro i ripiani di marmo presenti nel locale. Sanguinante lo trascinarono nell’auto della polizia e continuarono a torturarlo arrivati in centrale. Il suo corpo alla fine fu gettato in strada “per simulare un’aggressione di sconosciuti ed evitare responsabilità nell’accaduto”.

All’assassinio di Khaled Said reagirono centinaia di migliaia di giovani egiziani, era l’inizio della rivoluzione, lì ad Alessandria d’Egitto. Una rivoluzione ancora non compiuta. I governi Morsi e al-Sisi hanno attuato le stesse politiche liberticide contro le quali si è opposto il movimento di piazza Tahir.

Secondo Amnesty International “Da quando il presidente al-Sisi ha preso il potere la situazione dei diritti umani in Egitto ha conosciuto un deterioramento catastrofico e senza precedenti. Attraverso una serie di leggi draconiane e di tattiche repressive delle sue forze di sicurezza, il governo del presidente al-Sisi ha orchestrato una campagna coordinata per rafforzare la stretta sul potere, erodendo ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e imponendo soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti“. “Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente, centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente, ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza. Dal 2014 sono state emesse oltre 1891 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 174 delle quali poi eseguite”.

In questo contesto al Cairo tra il gennaio e il febbraio 2016 è stato assassinato Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano, ritrovato al lato di una strada, a poca distanza dalla sede dei servizi segreti, con i segni delle torture sul corpo. Una storia identica a quella di Khaled Said.

Da anni la famiglia di Giulio Regeni, insieme a centinaia di associazioni italiane e internazionali, a decine di testate giornalistiche e centinaia di rappresentanti istituzionali, chiede verità e giustizia sulla morte di Giulio.

Ma a Catania tutto questo è ignorato. L’amministrazione comunale ha appena siglato un gemellaggio con la città di Alessandria d’Egitto, la città di Khaled Said. Un rapporto quello tra Catania e le Istituzioni egiziane iniziato un anno fa, quando venne in visita l’ambasciatore egiziano a Roma. Un rapporto mediato dal “Cavaliere di Gran Croce” Eugenio Benedetti Gaglio, novantenne catanese. “Un ruolo importante per la realizzazione dell’iniziativa lo hanno svolto il Cav. Eugenio Benedetti e Puccio Gennarino, entrambi promotori dell’accordo internazionale” scrive il Comune di Catania. Benedetti si definisce “imprenditore e filantropo”, ha da sempre legami con l’Egitto, dove collabora con la Società Italiana Beneficenza, istituita al Cairo nel 1864. Fu il prozio a fondare tramite la Sib nel 1903 l’Ospedale Umberto I della capitale egiziana. Proprio l’ospedale dove fu portato il corpo Giulio Regeni trovato in strada.

I partecipanti alla cerimonia di stipula del gemellaggio. Alla sigla dell’accordo erano presenti, tra gli altri, il deputato regionale all’Ars Gaetano Galvagno, l’assessore comunale alla cultura Barbara Mirabella, il presidente del Consiglio comunale Giuseppe Castiglione, la segretaria generale del comune Rossana Manno, il capo di Gabinetto Giuseppe Ferraro, il cerimoniere commendatore Luigi Maina; per la prefettura etnea Liliana Pulvirenti; rappresentanti dell’Autorità Portuale, della Guardia di Finanza e dei Carabinieri; Antonello Biriaco presidente di Confindustria Catania; Francesco Caizzone direttore dello stabilimento catanese di STM; Alessandro Cappellani presidente dell’Ersu di Catania; Anna Maria Iozzia, direttrice dell’Archivio di Stato; Emilio Grasso Dirigente Ufficio Scolastico Regionale di Catania; Floriana Franceschini presidente CNA; il direttore del quotidiano La Sicilia Antonello Piraneo; Salvatore Contraffatto e Claudia Fuccio, rispettivamente presidente e direttrice della Compagnia delle Opere per la Sicilia orientale; il direttore provinciale etneo di Lega Cooperative Giuseppe Giansiracusa.

Il gemellaggio tra la città natale di Benedetti e il Paese dei suoi interessi “filantropici” ha importanza nazionale, stempera i toni della vicenda Regeni e tenta di normalizzare i rapporti tra le nazioni. L’ambasciatore egiziano è sempre più spesso a Catania per questo. Alla cerimonia hanno partecipato il Governatore della regione di Alessandria Abdel Aziz Konsova, il Presidente della regione Sicilia Nello Musumeci e l’ambasciatore Hisham Badr.

Al Sindaco e alla città di Catania rimane ben poco. Le solite promesse di rapporti commerciali, qualche millantato introito turistico e qualche mummia. Sì, proprio le mummie. Perché anche Pogliese come il suo predecessore Enzo Bianco, si è fissato con questa idea del museo egizio e vuole che il gemellaggio serva a portare a Catania reperti di primo piano.

Qualche mummia in cambio della dignità della città, che avrebbe dovuto solo chiedere all’ambasciatore verità, giustizia e libertà per il popolo egiziano.

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