Il partito di Falcone e dei ragazzini
In Sicilia, trent’anni fa. E forse, senza saperlo, anche ora
“Il partito di Falcone e dei ragazzini” non aveva un comitato centrale o uno stemma, ma in realtà era l’unico partito esistente in Sicilia, oltre alla mafia.
Il rumore di fondo, in quegli anni, era costituito dalle dichiarazioni dei sindaci che escludevano l’esistenza della mafia nella loro città, dai giornali ad azionariato mafioso che invocavano silenzio, dalla brava gente che lavorava chiassosamente all’autodistruzione della sinistra, e dai colpi di pistola.
Furono i ragazzini di Palermo a scendere in campo per primi. Il liceo Meli, l’Einstein, il Galilei, poi via via tutti gli altri. Si passava sotto il Palazzo di Giustizia e il corteo,che fino a quel momento aveva gridato a voce altissima i Nomi, faceva improvvisamente silenzio. Là dentro lavoravano i nostri magistrati. Falcone, Borsellino, Di Lello, Ayala, Agata Consoli, Conte: metà del Partito erano loro. L’altra metà, i liceali.
A Catania, fra il 1984 e il 1986, furono almeno cento i ragazzi che in una maniera o nell’altra parteciparono, da militanti, alle iniziative dei Siciliani Giovani: furono i primi a gridare in piazza i nomi dei Cavalieri e a lavorare quotidianamente – il volantino,il centro sociale, l’assemblea – per strappargli dagli artigli la città.
A Gela, a Niscemi, a Castellammare del Golfo, nei paesini dove i padroni hanno la dittatura militare, essi vennero fuori e lottarono, paese per paese e città per città. “La Sicilia non è mafiosa – affermavano orgogliosamente – La Sicilia è militarmente occupata dalla mafia”. La Sicilia, dove ancora nel 1969 un ragazzo poteva essere dal padre boss mafioso perchè era iscritto alla Fgci. La Sicilia che ha combattuto, che non s’è arresa mai.
Ha combattuto, ed ha fatto politica, ha ragionato. La politica come partecipazione, come trasversalità, come sociatà civile nasce nelle lotte palermitane e catanesi di quegli anni: oggi è common sense dappertutto. La fine del vecchio ceto politico, di tutta la vecchia storia, fu intuita per la prima volta qui. Non è un caso se il movimento studentesco, due anni fa, è ripartito da Palermo, e se là dura tuttora.
Non è un caso se Palermo è l’unica città d’Italia dove sia cresciuta un’opposizione di massa, dove l’opposizione sia vincente. Non è un caso se a Catania il più totale black-out di tv e stampa non riesca – due volte in due anni – a fermare i candidati dell’opposizione. Non è un caso se a Capo d’Orlando i commercianti si ribellano, non è un caso se a Gela gli studenti restano organizzati; e non è un caso se a Palermo la gente non reagisce invocando la pena di morte ma individuando lucidamente le responsabilità dei politici di governo e prendendosela con loro.
Dal 1983 – e sono ormai nove anni – in Sicilia è in atto, con alti e bassi ma con una sostanziale continuità; non ancora maggioritario ma già ben lontano dal minoritarismo – un vero e proprio movimento di liberazione. Contro la mafia, ma anche contro tutto ciò che essa porta con sé.
Questo movimento avrebbe potuto essere esattamente l’anello che mancava alla sinistra italiana, il punto di partenza per ricostruire tutto. Invece, è rimasto solo. Solo a livello di palazzi, di comitati centrali, di radical-chic, di giornali: non a livello di ragazzini.
Domani, ad esempio – ma non è una novità, perchè avviene regolarmente ogni settimana – c’è assemblea dei liceali dell’Antimafia a Roma. Sono i soli, in Italia, a non avere paura dello sfascio. Perché sanno che c’è una classe dirigente pronta a prendere la responsabilità del Paese anche domattina, se fosse necessario – e non è detto che non lo sia.
Orlando, Claudio Fava, Carmine Mancuso, Dalla Chiesa? Sì: ma anche – e soprattutto – Davide Camarrone del liceo Meli, Antonio Cimino di Corso Calatafimi, Fabio Passiglia, Nuccio Fazio, Vito Mercadante, Angela Lo Canto, Carmelo Ferrarotto di Siciliani Giovani, Nando Calaciura, Tano Abela, il professor D’Urso: avete mai letto questi nomi sui giornali? Benissimo. Infatti, neanche i nomi dei primi socialisti uscivano sui giornali, cent’anni fa.
Una metà del “partito” oggi non c’è più. Martelli, il giudice Carnevale, Pannella e Cossiga sono riusciti, ognuno con i suoi mezzi, a svuotare il Palazzo dai nostri magistrati e lo stesso Falcone, ben prima d’essere ucciso, era già stato messo in condizione di non essere più quello di prima. Dei “vecchi”, solo Borsellino e Conte sono rimasti al loro posto. Ma nel frattempo sono cresciuti i Felice Lima, i Di Pietro, i Casson.
(Avvenimenti, gennaio 1992)